Il dilemma di tanti appassionati: spesso ci si chiede quale pratica sia la migliore e in che modo si mantenga meglio il valore. Ecco un’infarinatura generale sul tema
Quello delle moto d’epoca, forse oggi più che mai, è un mondo in grande fermento. Complice il passare del tempo, si stanno rivalutando anche mezzi di periodi storici che fino a qualche tempo fa erano considerati semplicemente vecchi, un fenomeno che non fa altro che espandere ancor di più il mercato. Un esempio sono tutte quelle moto di fine anni ’80 e dei primi anni ’90 che più che rientrare di diritto nella categoria delle moto d’epoca vengono spesso classificate come vintage, ma a conti fatti non c’è alcuna reale differenza. Il bello di queste youngtimer, come le chiamano alcuni, è che riescono ad appassionare anche chi ancora non ha i capelli grigi, attraendo magari un pubblico attorno alla trentina che con moto come la Guzzi Falcone ha poco o nulla a che spartire.
Ad ognuno la propria categoria, potremmo dire: ai sessantenni le moto anni ’60, ai trentenni le moto anni ’90, tutto sommato sembra una ripartizione abbastanza equa. Si scherza, ma non è forse vero che si prova sempre un legame particolare con ciò che ha caratterizzato la nostra gioventù? Ecco spiegato il motivo.
Di un periodo o dell’altro, spesso, l’appassionato che acquista o decide di riesumare una moto d’epoca si trova di fronte ad un dilemma non da poco. La restauro o la lascio così com’è? La prima risposta che ci viene da dare è che non c’è una risposta semplice né univoca. Si apre al contrario un ventaglio di possibilità che prende in considerazione una miriade di variabili, a partire dallo stato in cui la moto si trova per finire con l’obiettivo finale che abbiamo, se venderla, utilizzarla o esporla in salotto.
QUALE VALE DI PIÙ?
Partiamo da un punto, quasi, fermo, che poi è tutto fuorché fermo perché in realtà si tratta di una questione estremamente soggettiva. In linea di massima, per la maggior parte degli appassionati una moto conservata in buono stato ha un valore maggiore rispetto ad una moto restaurata, anche se quest’ultima versa in condizioni vicine alla perfezione.
Potrà sembrare assurdo, e per certi versi lo è, ma questo è il pensiero mediamente condiviso dai massimi esperti. A supporto ci sono varie ragioni: al netto di doverose riparazioni fatte nel tempo, una moto conservata ha il 100% dei suoi pezzi originali, così com’è uscita dalla fabbrica. E questo è indubbiamente un valore aggiunto. Anche perché, riuscire a mantenere bene una moto per 30, 40 o 50 anni richiede come minimo lo sforzo di conservarla in un luogo asciutto e di muoverla periodicamente per mantenerla in efficienza. Per contro, un restauro lo si può fare partendo da qualsiasi base, anche quella messa peggio. Un po’ come a dire che “a restaurare sono capaci tutti”, mentre a conservare evidentemente no.
Sulla moto conservata sono ammesse una serie di piccole imperfezioni, che vanno dalla vernice scrostata in nei punti di maggiore usura, a qualche punto di ruggine e alla piccola ammaccatura magari sull’espansione se parliamo di un due tempi. Tutti questi ‘difetti’, se di moderata entità, non fanno altro che dare una personalità alla moto, la rendono capace di raccontare una storia, cosa che con il restauro inevitabilmente si perde. Stesso discorso per il colore di telaio e sovrastrutture, che con il tempo e il sole sbiadisce, diventando unico e impossibile da replicare.
Si arriva anche all’estremo, come potrebbe ad esempio essere uno strumento originale con il vetro opacizzato valutato meglio di uno identico ma con il vetro solamente lucidato. Oppure la targa: un mezzo reimmatricolato, a parità di condizioni, vale meno di uno con la sua targa originale. Ma tant’è, sappiamo bene tutti che il mondo della motocicletta, non essendo quasi mai un bene necessario ma oggetto di passione, è mosso più spesso dalla pancia che dal cervello.
Poi c’è la via di mezzo: il restauro conservativo. Perché un restauro conservativo abbia senso, bisogna comunque partire da una base fondamentalmente sana. Il restauro conservativo altro non è che un restauro poco invasivo, ovvero quando ad una moto viene sostituito l’essenziale per rimetterla in perfetta efficienza, senza smontarla e rimontarla completamente, cercando quindi conservare il più possibile del mezzo originale.
E infine il restauro vero e proprio, che secondo i veri maniaci per essere fatto bene deve passare dalla sabbiatura e zincatura delle viti che tengono assieme i carter. Viti o no, qui c’è davvero chi si sbizzarisce e arriva a spendere ben più del valore finale della moto, ma non chiamiamo in causa l’aspetto economico della vendita ché ci sarebbero da scrivere libri solo su questo. Pratica abbastanza diffusa è davvero quella di sabbiare e riverniciare le varie parti del motore, carter, cilindro e testa, poi ovviamente il telaio e tanto altro.
Per le moto più celebri mediamente non c’è difficoltà eccessiva nel reperire i ricambi; tra l’onnipotente internet e i cari e vecchi mercatini alla fine si trova quasi sempre quello che ci serve. Più spinosa è la questione se il restauro è di quelli maniacali, in cui ogni singolo pezzo deve essere un ricambio originale uscito dalla casa madre. Eh già, perché c’è anche chi, a ragione o torto, ripudia i pezzi after market, tacciandoli magari di qualità inferiore o anche semplicemente del fatto in sé di non essere OEM (original equipment manufacturer).
CHE FARE? RESTAURARE O NO?
La prima e fondamentale variabile è rappresentata dalle condizioni della moto. È messa bene o benino? Probabilmente non conviene stravolgerla. Cade a pezzi? Qui sarà da percorrere inevitabilmente la via del restauro totale. C’è poi il punto di domanda sull’utilizzo che andremo a farne. Vogliamo venderla? Se c’è la possibilità, se quindi la moto è sana, probabilmente conviene davvero mantenere buona parte dei pezzi originali, con un restauro il più possibile conservativo. Ma occhio a non accostare pezzi originali ad altri riverniciati, si noterebbe la differenza di sfumatura!
Vogliamo usarla? Ecco un altro bivio: che tipo di moto è? Da usare intensamente tra fango e pietre come una da regolarità o da passeggiate in collina come una vecchia roadster? Se siamo per l’uso gravoso, una bella occhiata da cima a fondo con i pezzi nuovi dove servono, e non solo a livello estetico, non può che far bene. Vogliamo esporla in salotto? In questo caso forse vanno bene entrambe le soluzioni.
Poi, ancora, il destino della moto dipende (o dovrebbe dipendere) da quale sia il modello in questione e quale possa essere la sua valutazione sul mercato. Diverso è il discorso se parliamo di una pur ottima Honda Transalp, di cui sono state prodotte decine di migliaia di unità, o se parliamo di una MV Agusta da gran premio degli anni ’60. Non che questo ci aiuti realmente a decidere cosa farne, ma se non altro dobbiamo sforzarci di renderci conto dell’entità reale della questione, inquadrare le cose secondo il loro vero valore e capire se val la pena diventare matti dietro ad una moto.
Eccola qui la verità ultima: bisogna inquadrare le cose secondo il loro vero valore, e cercare di agire di conseguenza. In fin dei conti, stiamo parlando del sesso degli angeli.
notizia da: dueruote.it
Quello delle moto d’epoca, forse oggi più che mai, è un mondo in grande fermento. Complice il passare del tempo, si stanno rivalutando anche mezzi di periodi storici che fino a qualche tempo fa erano considerati semplicemente vecchi, un fenomeno che non fa altro che espandere ancor di più il mercato. Un esempio sono tutte quelle moto di fine anni ’80 e dei primi anni ’90 che più che rientrare di diritto nella categoria delle moto d’epoca vengono spesso classificate come vintage, ma a conti fatti non c’è alcuna reale differenza. Il bello di queste youngtimer, come le chiamano alcuni, è che riescono ad appassionare anche chi ancora non ha i capelli grigi, attraendo magari un pubblico attorno alla trentina che con moto come la Guzzi Falcone ha poco o nulla a che spartire.
Ad ognuno la propria categoria, potremmo dire: ai sessantenni le moto anni ’60, ai trentenni le moto anni ’90, tutto sommato sembra una ripartizione abbastanza equa. Si scherza, ma non è forse vero che si prova sempre un legame particolare con ciò che ha caratterizzato la nostra gioventù? Ecco spiegato il motivo.
Di un periodo o dell’altro, spesso, l’appassionato che acquista o decide di riesumare una moto d’epoca si trova di fronte ad un dilemma non da poco. La restauro o la lascio così com’è? La prima risposta che ci viene da dare è che non c’è una risposta semplice né univoca. Si apre al contrario un ventaglio di possibilità che prende in considerazione una miriade di variabili, a partire dallo stato in cui la moto si trova per finire con l’obiettivo finale che abbiamo, se venderla, utilizzarla o esporla in salotto.
QUALE VALE DI PIÙ?
Partiamo da un punto, quasi, fermo, che poi è tutto fuorché fermo perché in realtà si tratta di una questione estremamente soggettiva. In linea di massima, per la maggior parte degli appassionati una moto conservata in buono stato ha un valore maggiore rispetto ad una moto restaurata, anche se quest’ultima versa in condizioni vicine alla perfezione.
Potrà sembrare assurdo, e per certi versi lo è, ma questo è il pensiero mediamente condiviso dai massimi esperti. A supporto ci sono varie ragioni: al netto di doverose riparazioni fatte nel tempo, una moto conservata ha il 100% dei suoi pezzi originali, così com’è uscita dalla fabbrica. E questo è indubbiamente un valore aggiunto. Anche perché, riuscire a mantenere bene una moto per 30, 40 o 50 anni richiede come minimo lo sforzo di conservarla in un luogo asciutto e di muoverla periodicamente per mantenerla in efficienza. Per contro, un restauro lo si può fare partendo da qualsiasi base, anche quella messa peggio. Un po’ come a dire che “a restaurare sono capaci tutti”, mentre a conservare evidentemente no.
Sulla moto conservata sono ammesse una serie di piccole imperfezioni, che vanno dalla vernice scrostata in nei punti di maggiore usura, a qualche punto di ruggine e alla piccola ammaccatura magari sull’espansione se parliamo di un due tempi. Tutti questi ‘difetti’, se di moderata entità, non fanno altro che dare una personalità alla moto, la rendono capace di raccontare una storia, cosa che con il restauro inevitabilmente si perde. Stesso discorso per il colore di telaio e sovrastrutture, che con il tempo e il sole sbiadisce, diventando unico e impossibile da replicare.
Si arriva anche all’estremo, come potrebbe ad esempio essere uno strumento originale con il vetro opacizzato valutato meglio di uno identico ma con il vetro solamente lucidato. Oppure la targa: un mezzo reimmatricolato, a parità di condizioni, vale meno di uno con la sua targa originale. Ma tant’è, sappiamo bene tutti che il mondo della motocicletta, non essendo quasi mai un bene necessario ma oggetto di passione, è mosso più spesso dalla pancia che dal cervello.
Poi c’è la via di mezzo: il restauro conservativo. Perché un restauro conservativo abbia senso, bisogna comunque partire da una base fondamentalmente sana. Il restauro conservativo altro non è che un restauro poco invasivo, ovvero quando ad una moto viene sostituito l’essenziale per rimetterla in perfetta efficienza, senza smontarla e rimontarla completamente, cercando quindi conservare il più possibile del mezzo originale.
E infine il restauro vero e proprio, che secondo i veri maniaci per essere fatto bene deve passare dalla sabbiatura e zincatura delle viti che tengono assieme i carter. Viti o no, qui c’è davvero chi si sbizzarisce e arriva a spendere ben più del valore finale della moto, ma non chiamiamo in causa l’aspetto economico della vendita ché ci sarebbero da scrivere libri solo su questo. Pratica abbastanza diffusa è davvero quella di sabbiare e riverniciare le varie parti del motore, carter, cilindro e testa, poi ovviamente il telaio e tanto altro.
Per le moto più celebri mediamente non c’è difficoltà eccessiva nel reperire i ricambi; tra l’onnipotente internet e i cari e vecchi mercatini alla fine si trova quasi sempre quello che ci serve. Più spinosa è la questione se il restauro è di quelli maniacali, in cui ogni singolo pezzo deve essere un ricambio originale uscito dalla casa madre. Eh già, perché c’è anche chi, a ragione o torto, ripudia i pezzi after market, tacciandoli magari di qualità inferiore o anche semplicemente del fatto in sé di non essere OEM (original equipment manufacturer).
CHE FARE? RESTAURARE O NO?
La prima e fondamentale variabile è rappresentata dalle condizioni della moto. È messa bene o benino? Probabilmente non conviene stravolgerla. Cade a pezzi? Qui sarà da percorrere inevitabilmente la via del restauro totale. C’è poi il punto di domanda sull’utilizzo che andremo a farne. Vogliamo venderla? Se c’è la possibilità, se quindi la moto è sana, probabilmente conviene davvero mantenere buona parte dei pezzi originali, con un restauro il più possibile conservativo. Ma occhio a non accostare pezzi originali ad altri riverniciati, si noterebbe la differenza di sfumatura!
Vogliamo usarla? Ecco un altro bivio: che tipo di moto è? Da usare intensamente tra fango e pietre come una da regolarità o da passeggiate in collina come una vecchia roadster? Se siamo per l’uso gravoso, una bella occhiata da cima a fondo con i pezzi nuovi dove servono, e non solo a livello estetico, non può che far bene. Vogliamo esporla in salotto? In questo caso forse vanno bene entrambe le soluzioni.
Poi, ancora, il destino della moto dipende (o dovrebbe dipendere) da quale sia il modello in questione e quale possa essere la sua valutazione sul mercato. Diverso è il discorso se parliamo di una pur ottima Honda Transalp, di cui sono state prodotte decine di migliaia di unità, o se parliamo di una MV Agusta da gran premio degli anni ’60. Non che questo ci aiuti realmente a decidere cosa farne, ma se non altro dobbiamo sforzarci di renderci conto dell’entità reale della questione, inquadrare le cose secondo il loro vero valore e capire se val la pena diventare matti dietro ad una moto.
Eccola qui la verità ultima: bisogna inquadrare le cose secondo il loro vero valore, e cercare di agire di conseguenza. In fin dei conti, stiamo parlando del sesso degli angeli.
notizia da: dueruote.it