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Ferrari F40 LA STORIA

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    #1

    Ferrari F40 LA STORIA

    La Ferrari F40 proseguì la filosofia delle vetture estreme inaugurata con la GTO e la portò a livelli ancora più elevati. Verso la metà degli anni ottanta, alcune riviste automobilistiche iniziarono a pubblicare un certo numero di scatti spia riguardanti nuovi prototipi, sorpresi sulle strade nei dintorni di Maranello. Assieme alle fotografie, circolarono svariate ipotesi che tentavano di spiegare la possibile ragion d’essere di queste automobili. Dopo qualche tempo trapelò che le vetture, in seguito note come “Evoluzione”, erano il banco di prova della prossima F40. Furono realizzate cinque “Evoluzione” a scopo di test: quattro furono vendute a clienti privati mentre la quinta fu trattenuta dall’azienda. Quando verso la metà del 1987 fu annunciata la F40, la sua carrozzeria disegnata da Pininfarina fece restare tutti senza fiato: era selvaggia e cattiva, una macchina che sembrava un modello da competizione. Invece, la vettura era omologata per uso stradale e volendo si poteva utilizzare anche per fare dello shopping. La denominazione F40 traeva origine dalla “F” di Ferrari e dal numero 40, che ricordava il quarantesimo anniversario della prima Ferrari omologata per uso stradale. Fu anche l’ultima vettura che vide la presenza di Enzo Ferrari alla sua presentazione, prima del suo passaggio a miglior vita nell’agosto del 1988.



    Le sole tracce che rimasero a testimoniare la lontana derivazione dalla 308 furono evidenti attorno al profilo dell’abitacolo e nella linea di color nero satinato ai lati della carrozzeria: tutto il restante styling riguardante il corpo vettura era completamente nuovo, come nuovi erano i materiali che lo costituivano. Il frontale basso e aggressivo scorreva verso la coda in un percorso costellato di prese d’aria e sfoghi per il raffreddamento. Il lunotto panoramico, sotto il quale si vedeva parte del propulsore, accompagnava lo sguardo fino al grande alettone posteriore a tutta larghezza: negli anni ottanta, quest’appendice aerodinamica divenne la massima icona rappresentante il concetto di vettura ad altissima potenza. Il pubblico la amò subito. Si formarono code di clienti che si presentavano con il libretto degli assegni in mano pronti a iscriversi nelle liste d’attesa, nonostante la Ferrari non avesse ancora comunicato quante vetture sarebbero state costruite e in quale lasso di tempo: ciò fu deciso per cercare di evitare il ripetersi dello straordinario clamore generato dalla GTO, ma l’iniziativa non riuscì a calmare la tempesta di ordinazioni. Era così innovativa e desiderabile che il pubblico la voleva a tutti i costi, e subito! Quando il boom delle supercar raggiunse il suo apice nel 1989, qualche esemplare cambiò proprietario per cifre equivalenti vicine al milione di euro. La produzione continuò fino al 1992 e furono costruiti 1311 esemplari, con numeri di telaio compresi nell’intervallo tra il 76624 e il 95317: quasi cinque volte il numero di GTO realizzate. Michelotto di Padova sviluppò le versioni da competizione, dotate di suffissi LM e GT-E, che nel corso degli anni novanta ebbero successo nelle gare dell’European GT Racing con vari piloti privati.



    I corpi vettura erano montati su un telaio avente un passo di 2450 mm, la stessa misura della GTO, ma entrambe le carreggiate crebbero di dimensioni, assieme alla lunghezza totale che aumentò a causa del lungo musetto più aerodinamico. I telai avevano numero di riferimento interno F 120 AB e furono tutti numerati con la sequenza di cifre continua che iniziò con lo chassis numero 75000, comprendente quindi i numeri pari e dispari. La costruzione seguiva un principio classico della Ferrari che prevedeva un telaio in tubolari d’acciaio, ora con sezione anteriore a deformazione progressiva come richiesto dalle nuove normative vigenti in quasi tutto il mondo. In generale la struttura era simile a quella della GTO ma furono aggiunti dei bracci addizionali per migliorare la rigidità, inoltre gli elementi compositi furono fissati al telaio mediante un adesivo speciale, ottenendo un ulteriore irrobustimento dell’insieme. La F40 fu la prima vettura di serie con i pannelli della carrozzeria realizzati principalmente con materiali compositi. Questi pannelli erano solo undici, grazie ai due grandi elementi singoli utilizzati per le sezioni anteriore e posteriore. Mentre il telaio della GTO aveva la parte posteriore imbullonata per semplificare la rimozione del motore, questa configurazione non fu necessaria sulla F40, grazie alla particolare costruzione del pannello posteriore della carrozzeria che poteva essere rimosso completamente, garantendo così una buona accessibilità al propulsore. Le ruote componibili a cinque razze erano realizzate dalla Speedline e si fissavano al mozzo Rudge mediante un singolo dado, le loro misure erano 8J x 17” sull’anteriore e 10J x 17” sul treno posteriore. Le ruote nascondevano i grandi freni a disco forati e ventilati muniti di doppio circuito idraulico e privi di servo assistenza. Le sospensioni erano indipendenti con bracci oscillanti realizzati in tubolare d’acciaio, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici, barra anti rollìo anteriore e posteriore. Nel corso del periodo di produzione fu introdotta la possibilità di richiedere il sistema di sospensioni ad altezza regolabile, munito di controllo elettronico.

    Il propulsore era montato in posizione centrale longitudinale ed era un otto cilindri a “V” di novanta gradi, come sulla GTO. Tuttavia, il lavoro di sviluppo realizzato nel frattempo sulle “Evoluzione” portò a un piccolo aumento della cilindrata, unito a un leggero incremento della compressione che divenne pari a 7,7 : 1. Numerose altre variazioni e l’innalzamento della pressione di sovralimentazione portarono un cospicuo numero di cavalli in più e una maggiore coppia massima. La cilindrata totale divenne di 2936 cc con alesaggio e corsa di 81,9mm x 69,5mm, il numero di riferimento interno era F 120 A. Quando fu necessario installare i convertitori catalitici, il numero di riferimento interno divenne F 120 D 040. L’unità motrice aveva quattro valvole per cilindro, doppi alberi a camme in testa per bancata di cilindri comandati da una cinghia dentata per ogni lato della “V”, lubrificazione a carter secco, doppi turbocompressori raffreddati ad acqua prodotti dalla IHI che insufflavano l’aria dell’aspirazione a 1,1 bar, attraverso una coppia d’intercooler Behr. Era presente un sistema integrato d’iniezione/accensione Weber-Marelli IAW e la potenza dichiarata raggiungeva i 478 cavalli a 7000 giri. Il blocco del differenziale era montato nella parte posteriore del motore, assieme al cambio di velocità con cinque marce sincronizzate. A richiesta era disponibile un cambio sportivo senza sincronizzatori, per i clienti che desideravano portare all’estremo il concetto di vettura da corsa utilizzabile anche su strada.



    Come già avvenuto per la GTO, la vettura era disponibile in ogni colore gradito dalla clientela, a condizione che fosse il rosso! Analogamente, chi la desiderava era costretto a richiederla con la guida a sinistra, anche se in questo caso fu resa disponibile una versione per il mercato americano: poteva essere identificata dall’esterno grazie a un profondo spoiler anteriore di gomma nera, luci d’ingombro laterali site nella scanalatura della carrozzeria, dotata anche di un inserto di gomma nera nella sezione di coda, e luci d’ingombro posteriori laterali poste sui parafanghi, sopra la scanalatura già menzionata. Ci fu una sola concessione al maggior confort di bordo, rappresentata dall’impianto dell’aria condizionata fornito di serie. Per il resto l’interno era totalmente spartano: erano presenti una coppia di sedili sportivi ricoperti da una stoffa rossa, il rivestimento del padiglione, plancia e tunnel ricoperti di materiale fonoassorbente e un tappetino di gomma sul pavimento del posto guida. Tutte le rimanenti superfici erano di materiale composito a vista, con qualche elemento verniciato. Non erano previsti i cristalli ad azionamento elettrico: c’era una semplice manovella sul pannello porta oppure, sui primi esemplari, i pannelli scorrevoli di plastica trasparente. Per aprire gli sportelli dall’interno occorreva tirare un cavetto, sito nelle tasche nude dei pannelli porta. Il pilota aveva a disposizione un volante a tre razze di color nero satinato con il rivestimento della corona realizzato in pelle, i pedali di comando erano di alluminio forato. Questi interni minimalisti accentuarono la sensazione di auto da corsa impiegabile anche su strada, e completarono la sua immagine vincente di arma totale.da iruggentianni7080

    Ferrari F40 gallery

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    #2
    Due anni dopo la presentazione venne creata la Ferrari F40 competizione, inizialmente il nome reale era Lm, Infatti i due primi esemplari ebbero la sigla F40 LM e avevano il motore potenziato, sospensioni modificate e dettagli particolari di aerodinamica. La richiesta era pervenuta su richiesta del concessionario francese che desiderava farla partecipare alla 24 ore di Le Mans, da cui la sigla LM.
    Poi anche altri clienti hanno richiesto questa versione di cui sono stati costruiti una decina di esemplari in totale e siccome la definizione Le Mans era troppo restrittiva venne quindi deciso di chiamarla “competizione”.



    Ferrari F40 LM gallery

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      #3
      va che bella foto.. della Ferrari F40 in catena di montaggio...


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