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Aneddoti, interviste e storie curiose WSBK

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    #1

    Aneddoti, interviste e storie curiose WSBK


    "C'è un sacco di gente che non crede al fatto che io non volessi andare in Europa. E alcuni si sono pure offesi credendo che li stessi prendendo in giro, quando raccontavo questa storia. Ma questo spiega la mia personalità, e il mio atteggiamento freddo, in apparenza distaccato nell'ambito delle corse. Un atteggiamento che ad alcuni non piaceva. Il fatto è che non mi piacciono i grandi gruppi di persone. Sono un introverso. Non mi piace stare in mezzo a queste situazioni, che a volte mi fanno incazzare.



    Non è che non mi piacciono le persone, e devo dire che con il tempo sono molto migliorato, però mi sento a disagio. Comunque io volevo rimanere in America, volevo battere i record dell'AMA e diventare il pilota più vincente della storia del nostro campionato. Inoltre, per me correre nella AMA era la cosa migliore in quanto amavo viaggiare con i miei due cani, nel mio camper, andando in giro per gli Stati Uniti. E questo anche perchè io odiavo, e sottolineo odiavo, volare. Si ero spaventato a morte dal volo, e a dire il vero lo sono ancora oggi. Prendo coraggio e parto per l'Europa, e appena arrivo scopro che tutto è molto diverso dagli USA. Voglio dire: tutto è completamente diverso!

    Ero come un pesce fuori dall'acqua. Sapevo che il Mondiale Superbike era molto più importante rispetto al campionato AMA ma restai colpito costatando l'attenzione che il mio nome riceveva, in particolare in Italia. Dove aveva sede la mia squadra. Quando camminavo per le città d'Italia c'erano tante persone che mi guardavano e sussurravano: <quello è Ben Spies>. La cosa mi straniva un pò. Anche dal punto di vista tecnico, per me era tutto nuovo. La moto, le gomme, le sospensioni, la squadra. E anche le piste ovviamente. Ma mentre stavo cercando di imparare a gestire tutte queste novità in una volta sola, ad un certo punto mi sono reso conto di avere la possibilità di vincere il titolo." BEN SPIES
    Last edited by mito22; 11-02-21, 08:19.

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    #2
    "Sono stato messo al tappeto più volte di quante ne riesca a ricordare... ho un'articolazione acromioclavicolare spezzata nella spalla... ho avuto la clavicola sinistra rotta, due costole rotte, due ricostruzioni dei legamenti scafo lunati (sinistro e destro), un radio destro fratturato, due brutte rotture del femore sinistro (una composta, l'altra molto complicata)... una completa ricostruzione del legamento collaterale mediale e dei crociati anteriori del ginocchio sinistro, e una ricostruzione degli stessi nel destro... una tibia destra rotta e una fibula, l'anca sinistra frantumata e alcuni metatarsi rotti. Le mie ginocchia sono messe male, in particolare quella destra, mentre l'estremità delle mie dita dei piedi sono logorate fino all'osso. Mi era stato detto che non avrei mai guidato una moto e che mai e poi mai avrei gareggiato in una corsa ufficiale.



    Ad ogni modo, non diedi ascolto a quelle parole.
    Questa lista di incidenti non è insolita e non mi sto lamentando; è il prezzo da pagare per praticare lo sport che amo. Il mio corpo ha saldato il conto fino all'ultimo centesimo.
    'Devi essere pazzo' ' I piloti sono tutti pazzi' 'Dovresti mettere ordine nella tua testa prima di indossare il casco'.
    Ascoltate. Io? Non sono pazzo.
    Concentrato? Si,certo.
    Egoista? Sicuramente.
    Motivato? Certamente.
    Ma se mi chiamate 'pazzo alla ricerca del brivido' non avete capito niente di me, ne del mio sport. Guido una moto da quando avevo due anni, gareggio da quando ne avevo sei. Adesso mentre scrivo sono già stato incoronato campione del mondo Superbike per quattro volte (ora sei), ho realizzato il maggior numero di punti in una singola stagione SBK e ho vinto la 8 Ore Endurance di Suzuka. Ho corso in una stagione di Supersport BSB, un anno di mondiale Supersport e dieci campionati SBK. E credetemi, non sono ancora soddisfatto."
    - Jonathan Rea
    Last edited by mito22; 11-02-21, 08:19.

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      #3
      "E’ la cosa più bella che mi potesse capitare, dopo tutto quello che ho sofferto. Mi sono tenuto tutto dentro, ma ho urlato sotto il casco appena tagliato il traguardo. Se non ci si mette nei miei panni, non si può capire cosa provo” Max Biaggi (Qatar 2007)

      Last edited by mito22; 11-02-21, 08:20.

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        #4
        “Hai mostrato molto del tuo potenziale amico. So che tutti i piloti Superbike erano assieme a te in ogni giro! Non è facile salire su una MotoGP in condizioni così complesse e capire tutto in due turni. Tu ce l’hai fatta, che bel modo di chiudere la stagione!”
        Jonathan Rea si complimenta con Garrett Gerloff, che risponde: "Amico grazie davvero. Queste parole significano tanto dette da te."

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          #5
          Jonathan Rea: "Se i nostri figli volessero dedicarsi al motociclismo sarei disposto ad accettarlo. Ad esempio, il giorno prima di partire per Magny-Cours, sono andato con loro in moto da cross. Il lunedì, invece, è la serata del calcio. Se amano il calcio, allora il calcio. Se gli piace il motocross, allora il motocross o qualsiasi altro sport. Non mi importa cosa preferiscono purchè siano felici. Vedremo in futuro.
          Mi piace avervi tutti con me nel paddock: se mia moglie sta attraversando un momento difficile, posso aiutarla in qualche modo per dieci minuti, mentre quando è a casa e ha una giornata difficile, è a migliaia di chilometri di distanza e mi sento come se non potessi aiutarla. Essere madre e crescere i figli è un vero lavoro. Nel paddock, adoro quando arrivo al parco chiuso e trovo la famiglia che mi aspetta. Lavorano duramente per supportare il mio allenamento, la mia alimentazione, tutto. Se la squadra lavora in officina, io faccio lo stesso a casa, perché la mia famiglia fa parte della mia squadra."

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            #6
            "Voglio solo poter uscire con mia madre e darle un grande abbraccio!"
            Rea ha potuto brindare al suo ultimo trionfo in campionato con sua moglie Tatia e i suoi due ragazzi, Jake e Tyler, ma dovrà aspettare ancora un po' per festeggiare con il resto della sua famiglia dopo il viaggio dal Portogallo.

            "A essere onesto per me è triste che a causa delle restrizioni non possa nemmeno avere nessuno in casa. Ho visto mio padre da fuori casa ma non ho ancora visto mia madre, o mia sorella o mio fratello, quindi anche se ho visto mia moglie e i miei due bambini non mi sembra affatto che ci siano state celebrazioni per il mio titolo. È triste, ma è così ed è per questo che dico che a volte lo sport in questo momento sembra così insignificante, Voglio solo poter uscire con mia madre e darle un grande abbraccio! Sono stati momenti strani quest'anno, specialmente essere a casa durante quel periodo di blocco e sono stato contento quando sono finite le gare perché come ho detto, quando sono tornato a casa l'altro giorno ti rendi conto di quanto lo sport sia insignificante adesso. L'assenza dei fan durante il campionato non ha influito sulla mia motivazione perché alla fine della giornata si tratta di me, della pista e di fare il meglio che posso. Ma sicuramente la cosa più strana che ho trovato è stare seduto sulla griglia di partenza, perché generalmente hai una tribuna con persone, rumore e un commentatore del circuito che fa il build-up, ma quest'anno non c'era niente, era il silenzio e l'unica cosa che potevi sentire erano i generatori per le termocoperte, quindi al dire il vero è stato molto inquietante nelle prime gare ".

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              #7
              "Non è chi critica che conta; non è l'uomo che fa notare come l'uomo forte inciampa, o dove chi compie le azioni avrebbe potuto farle meglio. Il merito spetta all'uomo che è effettivamente nell'arena, il cui volto è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue; chi si sforza coraggiosamente; chi sbaglia, chi viene meno ancora e ancora, perché non c'è sforzo senza errori e mancanze; ma chi si sforza effettivamente di compiere le azioni; chi conosce i grandi entusiasmi, le grandi devozioni; che spende se stesso in una causa degna; che nel migliore dei casi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste, e che nel peggiore dei casi, se fallisce, almeno fallisce osando grandemente, così che il suo posto non sarà mai con quelle fredde e timide anime che non conoscono né la vittoria né la sconfitta ".
              Chaz Davies.

              Last edited by mito22; 11-02-21, 08:21.

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                #8
                “I miei genitori erano nel mondo delle corse, mi hanno dato il nome Loris in onore di Capirossi, di cui erano tifosi: si è laureato campione del mondo nella 125 nel 1990 e nel 1991 e io sono nato nel 1993 con tempismo perfetto. Di conseguenza ho iniziato ad ammirarlo anche io, fino a diventare un suo tifoso sfegatato e litigavo sempre con mia sorella, che tifava per Rossi. Di Capirex avevo tutto, dai poster ai modellini e non ti dico la gioia quando l’ho incontrato da piccolo nel paddock: ho tante foto insieme a lui. Ho conosciuto anche la moglie Ingrid, il fratello, sono andato alla scuola del padre e Loris mi ha seguito nel mio percorso.Lui è una brava persona ed è riuscito a trasmettere la sua passione per le corse a tanti fans, mi ha fatto amare le corse “ LORIS BAZ

                Last edited by mito22; 11-02-21, 08:23.

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                  #9
                  "Quando mi sveglio è ancora buio. Apro gli occhi di colpo, sentendomi mancare la terra sotto i piedi. A volte mi capita...Spesso accade mentre sto sognando di correre e finisco a terra. La sensazione non è proprio quella di una caduta dalla moto, manca per esempio il rumore, ma per il resto è tutto molto simile, e questa volta la scivolata è quella di Gara1 a Magny-Cours.
                  Ha smesso da poco di piovere, in Francia, a Magny-Cours e anche se l'asfalto è ancora bagnato ci siamo schierati con le gomme slick. Parto prudente, ma deciso, con un po' di nervosismo addosso perchè è l'ultima giornata del campionato 2012 e ancora, per la sesta volta in carriera, mi gioco un titolo mondiale. (...) Va tutto bene, continua cosi, mi dico. Non sto tirando, controllo la situazione quando, all'improvviso, alla staccata del tornantino Adelaide, lo sterzo mi si gira. La sensazione di vuoto mi prende alla sprovvista. E' sempre cosi, un attimo e sono a terra. Non si pensa in quei momenti: sbatto, rotolo, vedo la moto che mi corre vicino, le scintille e poi sono fermo con un gran vuoto dentro.
                  Max, mi dico, hai fatto una cazzata e ora la paghi.
                  (...)
                  Poi nel motorhome rimango solo, a rimuginare su quanto è successo. Squilla il telefono ma quando lo prendo non squilla più, sul display c'è il nome: Jorge Lorenzo.
                  Jorge l'ho conosciuto nel 2002, a Jerez. Allora lui aveva 15 anni ed era alla sua prima gara Mondiale. Mi si presentò davanti al motorhome accompagnato da un giornalista. Voleva conoscermi perchè, disse, era un mio tifoso. Aveva un mio poster fra le mani e glielo firmai. Lo guardai dapprima distrattamente e poi una seconda volta: un ragazzino paffutello che si affacciava al mondiale con l'ambizione che abbiamo tutti, vincere. Sembrava timido e un po' chiuso.
                  Mi disse che, da quando era ancora più giovane e aveva messo le ruote in pista, non si era mai perso una mia gara, e una volta, in occasione di una mia sconfitta, aveva pianto.
                  Da allora Lorenzo ha vinto due titoli iridati nella 250 e poi, cosa che a me non è mai riuscita, ha vinto anche in MotoGP, battendo Valentino Rossi, suo compagno di squadra. Inizialmente sono state semplici telefonate, poi abbiamo iniziato a vederci ogni tanto e siamo diventati amici.
                  Ora Jorge, che a sua volta è in lotta per vincere il suo secondo titolo nella classe regina, è venuto a tifare per me a Magny-Cours. Decido di non richiamarlo, sono troppo giù e non posso fare a meno di pensare all'errore che ho commesso e come nelle corse le situazioni possono ribaltarsi rapidamente. Se è per quello anche nella vita. Il telefono squilla nuovamente, questa volta è Eleonora. Le rispondo.
                  <<C'è Jorge che ti vuole parlare, Max.>>
                  <<Digli che non posso, Ele>>
                  <<Mi dice che è importante, vuole vederti>>
                  Ci penso un po'. Mi immagino Jorge in piedi al suo fianco che aspetta. <<Va bene, ok, digli di venire>>
                  Pochi minuti dopo è li, davanti a me. Mi sorride.
                  <<Come va, Campeón?>>
                  <<Come vuoi che vada? Non so cosa sia successo...L'asfalto era irregolare, ma non ho pinzato più del solito.>> Faccio un gesto, leggero, con indice e medio della mano destra a stringere una leva immaginaria-,<< e sono finito giù>>. Lo dico come una constatazione, che è anche una resa, mi sento battuto.
                  <<Tutto questo non ha importanza, Max. Tu sei il Campione>> dice Lorenzo sorprendendomi. Poi aggiunge: <<Dimentica tutto, c'è ancora una gara da fare. Vai dentro, vinci il mondiale e poi questa sera andiamo insieme a festeggiarlo.>>
                  Non so se Jorge lo ha notato, ma l'ho guardato con gli occhi sbarrati e la bocca aperta e ho sentito dentro di me che, si, potevo farlo. Potevo partire come se nulla fosse successo e giocarmi al meglio le mie possibilità. E' stato come il suono del gong che rimanda il pugile sul ring a battersi.
                  Grazie Jorge, ne avevo bisogno."
                  - Max Biaggi -

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                    #10
                    "Al momento mi diverto a correre e non penso al ritiro. Certamente i miei prossimi anni saranno legati a Kawasaki, ma occorre ragionare stagione per stagione: siceramente spero che la mia carriera si concluda qui, dato che sarebbe bello chiudere la carriera con il team che mi ha permesso di vincere il primo titolo, ma vedremo. Correre a 40 anni? E' una visione ottimistica: sono arrivato in questo paddock a 21 anni, e se dovessi essere ancora qui a 40 anni ditemi 'concedi un'occasione a qualche giovane' , dato che ci sono già oggi tanti ragazzi interessanti in varie classi. Penso che quando arriva il momento di ritirarsi occorra farlo."
                    - Jonathan Rea -

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                      #11
                      Carl Fogarty: "Il mio primo contatto con la famiglia Rea risale a più di quarant'anni fa, nel 1977, quando mio padre George arrivò secondo dietro Joey Dunlop nella sua prima vittoria al TT sulla Yamaha Rea Racing sponsorizzata dal nonno di Jonathan, John.

                      John Rea era un irlandese euforico, amante della sfida. Quando lo incontrai per la prima volta, durante il mio debutto alla North West 200 del 1987 e lui mi dedicò alcune parole di incoraggiamento, ne fui subito in soggezione. I legami con la famiglia continuarono quando gareggiai su strada contro il padre di Jonathan, Johnny: terminai quarto, sulla moto che avevo preso a prestito per la Junior Race del 1989, quando Johnny conquistò la sua unica vittoria al TT. Diversi anni dopo, Jonathan era uno dei tanti piloti britannici emergenti, alla pari di Leon Camier, Cal Crutchlow e Tom Sykes che la mia squadra Foggy Petronas osservava con particolare interesse per il nostro ultimo anno nel mondiale Superbike del 2006, prima di ingaggiare Craig Jones.

                      Non ricordo di aver parlato più con Jonathan fino a quando non risposi alla chiamata di un numero sconosciuto, mentre barcollavo in un beach club di Marbella dopo qualche shandy di troppo. In quel periodo lui correva per il team HM Plant Honda nella Superbike britannica e aveva appena ricevuto un'offerta da parte della Ducati per gareggiare nel mondiale Superbike l'anno successivo. La fiducia che aveva, pensai, che lo aveva spinto a chiamarmi cosi, di punto in bianco, meritava rispetto. Gli dissi che Davide Tardozzi, il team manager della Ducati, si sarebbe preso cura di lui e che doveva accettare l'offerta. Non ascoltò nemmeno una parola di quanto gli dissi e fini per firmare con Teb Kate Honda! Nel giro di un paio d'anni, mi convinsi che era il ragazzo più dotato, il più veloce che ci fosse nel mondiale Superbike. Nuovo in questa categoria, a volte finiva per essere inconsistente. Era prevedibile! La sua carriera rispecchiava la mia sotto tanti aspetti: anch'io mi ero dovuto mettere alla prova in una squadra e in sella a una moto che non erano le migliori sulla piazza. Alcuni iniziarono a dubitare di quanto andavo dicendo di lui, ma dissi loro di pazientare. Alla fine, il pilota migliore è quello che porta a casa le vittorie più importanti e le occasioni più importanti ed è proprio quello che è successo a Jonathan quando ha firmato per la Kawasaki.

                      Il resto è storia, incluso il mio record di 59 vittorie! Spesso mi viene chiesto che sensazione si prova e la risposta più onesta che posso dare è che dovendo cedere il primato a qualcuno, il fatto che sia stato Jonathan a guadagnarlo, non potrebbe rendermi più felice! Al di là del legame tra le nostre famiglie, non c'è nessun altro che sia più meritevole, che abbia maggior talento e maggior determinazione; a mio parere, ha tutte le carte in regola. Inoltre, è realmente un bravo ragazzo, un orgoglioso uomo di famiglia che non ha in se nemmeno un briciolo di arroganza. E non contento di aver battuto i miei record ha anche la sfacciataggine di provare a vendere più libri di quanti ne abbia venduti io, chiedendomi di scrivere questa prefazione.
                      Continua a sognare, amico mio!"

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                        #12
                        Originally posted by mito22 View Post
                        "Non è chi critica che conta; non è l'uomo che fa notare come l'uomo forte inciampa, o dove chi compie le azioni avrebbe potuto farle meglio. Il merito spetta all'uomo che è effettivamente nell'arena, il cui volto è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue; chi si sforza coraggiosamente; chi sbaglia, chi viene meno ancora e ancora, perché non c'è sforzo senza errori e mancanze; ma chi si sforza effettivamente di compiere le azioni; chi conosce i grandi entusiasmi, le grandi devozioni; che spende se stesso in una causa degna; che nel migliore dei casi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste, e che nel peggiore dei casi, se fallisce, almeno fallisce osando grandemente, così che il suo posto non sarà mai con quelle fredde e timide anime che non conoscono né la vittoria né la sconfitta ".
                        Chaz Davies.
                        cristo questa può stare tranquillamente nel discorso del gladiatore

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                          #13
                          Originally posted by mito22 View Post
                          Carl Fogarty: "Il mio primo contatto con la famiglia Rea risale a più di quarant'anni fa, nel 1977, quando mio padre George arrivò secondo dietro Joey Dunlop nella sua prima vittoria al TT sulla Yamaha Rea Racing sponsorizzata dal nonno di Jonathan, John.

                          John Rea era un irlandese euforico, amante della sfida. Quando lo incontrai per la prima volta, durante il mio debutto alla North West 200 del 1987 e lui mi dedicò alcune parole di incoraggiamento, ne fui subito in soggezione. I legami con la famiglia continuarono quando gareggiai su strada contro il padre di Jonathan, Johnny: terminai quarto, sulla moto che avevo preso a prestito per la Junior Race del 1989, quando Johnny conquistò la sua unica vittoria al TT. Diversi anni dopo, Jonathan era uno dei tanti piloti britannici emergenti, alla pari di Leon Camier, Cal Crutchlow e Tom Sykes che la mia squadra Foggy Petronas osservava con particolare interesse per il nostro ultimo anno nel mondiale Superbike del 2006, prima di ingaggiare Craig Jones.

                          Non ricordo di aver parlato più con Jonathan fino a quando non risposi alla chiamata di un numero sconosciuto, mentre barcollavo in un beach club di Marbella dopo qualche shandy di troppo. In quel periodo lui correva per il team HM Plant Honda nella Superbike britannica e aveva appena ricevuto un'offerta da parte della Ducati per gareggiare nel mondiale Superbike l'anno successivo. La fiducia che aveva, pensai, che lo aveva spinto a chiamarmi cosi, di punto in bianco, meritava rispetto. Gli dissi che Davide Tardozzi, il team manager della Ducati, si sarebbe preso cura di lui e che doveva accettare l'offerta. Non ascoltò nemmeno una parola di quanto gli dissi e fini per firmare con Teb Kate Honda! Nel giro di un paio d'anni, mi convinsi che era il ragazzo più dotato, il più veloce che ci fosse nel mondiale Superbike. Nuovo in questa categoria, a volte finiva per essere inconsistente. Era prevedibile! La sua carriera rispecchiava la mia sotto tanti aspetti: anch'io mi ero dovuto mettere alla prova in una squadra e in sella a una moto che non erano le migliori sulla piazza. Alcuni iniziarono a dubitare di quanto andavo dicendo di lui, ma dissi loro di pazientare. Alla fine, il pilota migliore è quello che porta a casa le vittorie più importanti e le occasioni più importanti ed è proprio quello che è successo a Jonathan quando ha firmato per la Kawasaki.

                          Il resto è storia, incluso il mio record di 59 vittorie! Spesso mi viene chiesto che sensazione si prova e la risposta più onesta che posso dare è che dovendo cedere il primato a qualcuno, il fatto che sia stato Jonathan a guadagnarlo, non potrebbe rendermi più felice! Al di là del legame tra le nostre famiglie, non c'è nessun altro che sia più meritevole, che abbia maggior talento e maggior determinazione; a mio parere, ha tutte le carte in regola. Inoltre, è realmente un bravo ragazzo, un orgoglioso uomo di famiglia che non ha in se nemmeno un briciolo di arroganza. E non contento di aver battuto i miei record ha anche la sfacciataggine di provare a vendere più libri di quanti ne abbia venduti io, chiedendomi di scrivere questa prefazione.
                          Continua a sognare, amico mio!"
                          doveva dar retta a carl e avrebbe vinto mondiali in più

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                            #14
                            Originally posted by luciocabrio View Post

                            doveva dar retta a carl e avrebbe vinto mondiali in più
                            Non mi sembra che ducati dal 2007 ad oggi abbia vinto più di 6 titoli mondiali, però....

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                              #15

                              "...fuori dalla sede della fabbrica di Kawasaki Heavy Industries ad Akashi c'erano centinaia e centinaia di membri del personale a darmi il benvenuto, applaudendo e sventolando striscioni. Mi resi conto di quanto le vittorie e i campionati significassero per tutti loro anche se risiedonono a migliaia di chilometri di distanza dalle gare. E' stata davvero una senzazione irreale, quasi commovente. Mi trattarono come un re; ricordo che un pomeriggio ero seduto nella mia camera d'albergo, in uno dei rari momenti liberi, riflettendo su tutto questo.



                              Su tutti i momenti duri che io e la mia famiglia avevamo affrontato negli ultimi venticinque anni per rendere questo sogno reale. I sacrifici che ho fatto io e i sacrifici che hanno dovuto fare le persone che amo. Gli infortuni che ho subito e che hanno richiesto cura e sostegno, non solo da parte dei professionisti del settore ma anche da parte della mia famiglia. I tanti momenti in cui mi ero messo in discussione o i momenti di frustrazione, che hanno richiesto aiuto per costruire la fiducia in me stesso con tutte le rassicurazioni necessarie per riuscirci. I dubbi legati alle scelte da fare per la mia carriera, che hanno richiesto chiarezza, saggezza ed esperienza. Le negatività e le critiche cui inevitabilmente si va incontro sui social media, che hanno avuto bisogno di trovare un controcanto, una sponda di ottimismo e positività.

                              Le persone che mi sono più vicine hanno provveduto a questo.

                              Loro si sacrificano tantissimo senza avere l'opportunità di godere appieno delle grandi soddisfazioni che ricompensano di ogni cosa. Non hanno gli applausi del pubblico, non salgono sul podio a spruzzare champagne, non ottengono riconoscimenti alle cerimonie di premiazione.

                              Penso che questa sia una delle espressioni più sincere del loro amore incondizionato.

                              E seduto in quella stanza d'hotel in Giappone alla fine del 2017. non mi sentivo ne' speciale, ne' importante, ne' talentuoso, ne' vincente, ne' intelligente. Mi sentivo solo incredibilmente fortunato per aver avuto la benedizione di vivere questa vita." ( In Testa; la mia autobiografia)

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