Molto carino come albo dei ricordi..
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La "nostra" storia
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Grandi cambiamenti
Sotto la dirigenza di Federico Minoli, la fabbrica viene profondamente trasformata nel giro di pochi anni, grazie agli investimenti del proprietario statunitense. Pertanto, nel 1998 non solo Fogarty riconquista il titolo mondiale in Superbike dopo che, nel 1997, a vincerlo era stato l’americano John Kocinski sulla Honda RC45, ma la produzione delle Ducati di serie conosce un aumento del 250%! Inoltre, viene portato avanti un profondo lavoro di marketing a livello di immagine dell’azienda che genera di nuovo interesse verso i prodotti, per i quali, tuttavia, non si è più costretti ad attendere mesi prima dell’effettiva consegna. Contemporaneamente, il sudafricano Pierre Terblanche prende il posto di Massimo Tamburini (che decide di rimanere in Cagiva al fianco di Castiglioni) a capo del Centro Stile Ducati.
A questo avvicendamento se ne affianca un altro nell’area tecnica, che vede Gianluigi Mengoli succedere a Massimo Bordi verso la fine del 2000, dopo che il Direttore Generale lascia l’azienda per contrasti insanabili con Federico Minoli.
E’ con questi presupposti che vede la luce il nuovo motore Testastretta, più leggero e compatto del Desmoquattro progettato da Bordi, e con misure caratteristiche di 100 mm per l’alesaggio e 63,5 per la corsa, che determinano una cilindrata effettiva di 998 cc. Esso va ad equipaggiare la 996R e segna una prima svolta rispetto a quello che era il progetto originale del bicilindrico Ducati a quattro valvole, che, dai 115 CV della moto portata in gara da Lucchinelli nel 1987, passa ai 173 a 12.100 giri della 996 con la quale, nel 2000, la Casa di Borgo Panigale vince il titolo costruttori, mentre quello piloti va a Edwards su Honda, anche perché il portacolori del Team Ducati, il quattro volte campione del mondo Carl Fogarty, subisce un serio infortunio a inizio stagione che pone di fatto la parola fine alla sua vittoriosa carriera.
Tuttavia, l’anno successivo, la Ducati torna all’attacco con l’australiano Troy Bayliss, che riporta la corona iridata a Borgo Panigale nel 2001 proprio grazie a una moto spinta dal nuovo motore Testastretta. Rispetto a quello di serie, quest’ultimo ha misure caratteristiche ancora più spinte, pari a 104 mm per l’alesaggio e 58,8 per la corsa, le stesse che vengono riprese sulla 998R stradale del 2002. In quell’anno, il titolo SBK viene di nuovo vinto da Colin Edwards al termine di un’incredibile battaglia culminata con la gara di Imola, di fronte alla bellezza di 100.000 appassionati spettatori.
L’ultima della serie: la 999
La moto di Bayliss del 2002 è ancora caratterizzata dal telaio e dalle sovrastrutture della 916, mentre a partire dal 2003 c’è un’improvvisa rottura con il passato dovuta all’arrivo della 999 disegnata da Pierre Terblanche. Questo modello, tecnicamente più razionale rispetto alla 916, non riscuote lo stesso successo della sua progenitrice in termine di vendite, ma allo stesso tempo arriva nel momento di maggior dominio da parte di Ducati in Superbike.
La decisione da parte dei costruttori giapponesi di non partecipare in forma ufficiale al campionato (privilegiando l’impegno nella MotoGP) e l’introduzione di un unico fornitore di pneumatici (Pirelli) garantiscono alla fabbrica di Borgo Panigale due stagioni di supremazia assoluta, prima con Neil Hodgson, nel 2003, e poi con James Toseland, nel 2004.
A fermare questa striscia vincente ci pensa la Suzuki che, libera dagli air-restrictor imposti inizialmente ai quattro cilindri di 1000 cc, permette a Troy Corser di conquistare il titolo mondiale con grande autorevolezza, seguito dalla Honda di Chris Vermeulen e dalla Yamaha di Noriyuki Haga, con la Ducati nettamente staccata.
Nonostante che la moto bolognese abbia una manutenzione nettamente più impegnativa e costosa (la parte alta del motore viene revisionata ogni 750 Km, mentre quella bassa ogni 1500 Km...), ormai le quattro cilindri giapponesi di 1000 cc sono più potenti, accelerano più velocemente e hanno una migliore gestione elettronica del motore.
Dal 2004 al 2007, infatti, il Testastretta da 999 cc che equipaggia le Ducati ufficiali svilupperà sempre 192 Cv a 12.500 giri, praticamente il massimo che si può tirare fuori da questo bicilindrico. Spetta dunque a un pilota speciale tirare fuori quel qualcosa in più che possa permettere a Ducati di riconquistare il mondiale SBK. Quel pilota è, ancora una volta, Troy Bayliss che, dopo una parentesi con i prototipi, torna nelle derivate di serie nel 2006 e fa suo il Mondiale, instaurando con la 999 F06 un rapporto di simbiosi totale, frutto anche della sofisticata gestione elettronica del motore sviluppata dalla Magneti Marelli prima sulla Desmosedici in MotoGP e poi adattata alla 999.
Nel 2007, Bayliss è ancora della partita, ma, pur vincendo sette gare, non riesce a ripetersi a causa di un infortunio patito in Inghilterra (dove gli verrà amputato il dito mignolo della mano destra) e del crescente gap prestazionale tra la moto italiana e le quattro cilindri giapponesi di ultimissima generazione. Il titolo va pertanto a James Toseland in sella alla Honda del Team Ten Kate.
La Ducati ha comunque giocato sempre un ruolo da protagonista nel campionato del mondo Superbike, fin dalla sua istituzione. Il bicilindrico Desmo a V di 90° rappresenta pertanto un simbolo. Honda e Suzuki hanno provato a imitare questa architettura, ma senza mai riuscire a eguagliarne il fascino e l’esclusività, e soprattutto senza conquistare ben dodici titoli mondiali piloti… Tuttavia, le nuove tendenze del campionato del mondo Superbike, che vogliono moto più vicine alle corrispondenti di serie, fanno della 999 F07 una moto ormai pronta per infoltire le fila del Museo Ducati. Allo stato attuale, infatti, si tratta di una sorta di prototipo “travestito” da Superbike, frutto di una sofisticazione tecnica che racchiude ben venti anni di sviluppo.
Per questo motivo, oltre che per gli altissimi costi di gestione della 999 ufficiale, la Ducati ha fatto domanda presso la Federazione Motociclistica Internazionale affinché fosse innalzato il limite di cilindrata previsto per i bicilindrici fino a 1200 cc. In cambio, la Casa di Borgo Panigale accetterà limitazioni sull’impianto di alimentazione e su alcuni componenti fondamentali del motore. Si tratta, come detto, di una svolta epocale, che chiude un capitolo e ne apre un altro: quello della nuova 1098.
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La storia delle bicilindriche bolognesi con cilindrata fino a 1000 che hanno dominato i primi 20 anni del mondiale Superbike. Da oggi il testimone passa alla 1098R
Il round conclusivo del Mondiale Superbike 2007, disputatosi a Magny-Cours il 6 ottobre scorso, è stato teatro dell'ultima apparizione in forma ufficiale della moto che ha letteralmente dominato i primi vent'anni del campionato delle derivate di serie, vale a dire il bicilindrico Desmo Ducati da un litro di cilindrata. Nel 2008, infatti, la SBK di Borgo Panigale aumenterà la cilindrata a 1200 cc, in base ai nuovi regolamenti e già alla fine di questo mese Bayliss e Fabrizio proveranno in Qatar la nuova 1098R in versione definitiva per il prossimo campionato.
Si volta dunque pagina, ponendo fine a un'era che ha fruttato alla Ducati ben 26 titoli mondiali in 20 anni (12 piloti e 14 costruttori). Il quinto posto colto da Bayliss in Gara-2 in Francia, dopo che in Gara-1 l'australiano aveva regalato l'ultimo podio alla 999 F07, ha dunque sancito la fine della carriera agonistica dei bicilindrici Ducati sotto i 1000 cc.
Una storia che inizia negli anni Ottanta, quando la fabbrica bolognese non naviga certo in acque serene. Nel 1983, infatti, l'azienda produce a malapena 3000 moto all'anno e sta per essere progressivamente convertita alla realizzazione di motori diesel marini dopo che, nel 1978, era passata sotto la gestione parastatale del Gruppo Vuemme.
Per fortuna, nel 1985, i proprietari del marchio Cagiva, i fratelli Gianfranco e Claudio Castiglioni, acquisiscono l'azienda e ne mettono in atto un fattivo rilancio. Questa operazione coincide anche con il ritiro in pensione, all'età di sessantacinque anni, del tecnico che più di ogni altro ha legato il proprio nome e quello della Casa di Borgo Panigale: l'Ingegner Fabio Taglioni, conosciuto al di fuori dei nostri confini come il Dottor T.
Taglioni viene rimpiazzato dal suo allievo Massimo Bordi: un avvicendamento che ha importanti conseguenze sotto molti punti di vista. Grazie all'aiuto di Bordi, infatti, i Castiglioni riescono a rinnovare la gamma Ducati, i sistemi produttivi della fabbrica, la sua immagine e, soprattutto, la sua attività agonistica.
Le lacrime di Gianfranco al fianco di Lucchinelli sul podio di Misano, nel 1986, in seguito alla vittoria dell'ex campione del mondo della 500 GP nella tappa italiana del campionato del mondo TT1, la dicono lunga sulla passione dei fratelli Castiglioni per le corse.
Nasce il Desmoquattro
Determinati a creare una nuova generazione di bicilindrici Desmo che permetta all’azienda bolognese di conquistare nuove quote di mercato, i Castiglioni commissionano a Bordi la realizzazione di un nuovo motore che stabilisca nuovi riferimenti in termini prestazionali nell’ambito della tradizione Ducati. Pur mantenendo la classica architettura a V di 90° e la distribuzione desmodromica, il cosiddetto Desmoquattro di Bordi rappresenta il primo propulsore Ducati ad essere equipaggiato con l’iniezione elettronica, il raffreddamento a liquido e più di due valvole per cilindro, le stesse caratteristiche che ritroviamo ancora oggi sul motore Testastretta Evoluzione che spinge la 1098.
Grazie ad alcune indicazioni della britannica Cosworth, presso la quale Bordi aveva soggiornato per circa quattro mesi durante l’inverno tra il 1985 e il 1986, questa progetto, che segna una profonda rottura con il passato, fa il suo debutto sotto forma di un motore di 748 cc (alesaggio di 88 e corsa di 61,5 mm), con il quale viene equipaggiata una moto da Endurance per partecipare alla 24 ore del Bol d’Or, sul circuito del Paul Ricard. L’equipaggio del team Ducati si ritira alla tredicesima ora di gara, mentre si trova in settima posizione. Tuttavia, con una potenza massima di 94 Cv, contro gli 87 della 750 TT1 motorizzata con il classico bicilindrico a due valvole, il potenziale del Desmoquattro si manifesta nella sua evidenza.
La conferma di ciò arriva quando Bordi decide di portare la cilindrata fino a 851 cc (alesaggio di 92 e corsa di 64), in occasione della partecipazione di Lucchinelli alla Battle of the Twins di Daytona, pochi mesi più tardi. In terra americana, infatti, grazie ai 115 Cv che il motore è in grado di sviluppare (diventando così il primo bicilindrico Ducati ad abbattere il muro dei 100 CV), Lucchinelli coglie una clamorosa vittoria. Inoltre, in quell’occasione, la Ducati fa registrare tempi sul giro e velocità massima in linea con i quattro cilindri di 750 cc che partecipano alla 200 Miglia di Daytona in quello stessa settimana di gara.
Nel 1987, arrivano anche un paio di vittorie nella categoria Open del campionato italiano (dove il regolamento permette la partecipazione anche ai prototipi). Questi successi convincono dunque i Castiglioni a proseguire lo sviluppo di questo progetto in modo da partecipare al campionato del mondo Superbike, che avrebbe preso il via proprio l’anno seguente, nel 1988. Ecco che viene allestita la 851S (dove il numero indica la cilindrata e la lettera sta per Strada), prontamente presentata al Salone di Milano nell’inverno di quello stesso anno.
Prime vittorie mondiali
Oggigiorno siamo ormai abituati alle vittorie della Ducati, ma all’epoca la Casa di Borgo Panigale viene guardata con sufficienza per il fatto di schierare una moto con meno di quattro cilindri. Questa situazione è ulteriormente sottolineata dal fatto che i regolamenti di allora consentono ai bicilindrici un vantaggio in termini di cilindrata: 1000 cc contro i 750 imposti ai quattro cilindri. Il fatto ironico, però, è che l’azienda bolognese è in grado di vincere fin da subito senza approfittare pienamente di questa agevolazione. Il bicilindrico desmodromico si distingue, inoltre, anche a livello ciclistico, proponendo un telaio in traliccio di tubi laddove il doppio trave in alluminio scatolato è praticamente uno standard.
La Ducati Desmoquattro vince la prima gara della storia della Superbike, disputatasi a Donington Park nell’aprile del 1988, per mano di Marco Lucchinelli, con una cilindrata di soli 851 cc e condividendo gran parte del basamento con il bicilindrico raffreddato ad aria della serie Pantah, del quale riprende anche il comando degli alberi a camme tramite cinghie dentate.
Durante il 1988, il nuovo motore Ducati riceve in corso d’opera una maggiorazione dell’alesaggio pari a 2 mm, che porta le misure caratteristiche a 94 x 64 mm, per una cilindrata totale di 888 cc. Tuttavia, i primi 500 esemplari dei Desmoquattro stradali destinati ai clienti sono ancora di 851 cc e, così come il mezzo da gara, soffrono di alcuni problemi legati allo sviluppo. Già a partire dall’anno successivo, nel 1989, la 851 Strada è infatti notevolmente più efficace, sia a livello di prestazioni che di guida, come testimoniano anche i dati di vendita. Insomma, l’era del Desmoquattro è iniziata.
Anche così, tuttavia, bisogna aspettare il 1990 perché la Ducati instauri il suo dominio in Superbike, con il francese Raymond Roche che va a vincere il primo di una lunga serie di titoli piloti (ben dodici) legati al marchio italiano. Parallelamente, la versione stradale della moto di Roche, la cosiddetta 851 SP2 riscuote grande successo sul mercato e costituisce la base per le moto da corsa di numerosi piloti privati, tra i quali l’americano Doug Polen che, sotto le insegne della scuderia di Eraldo Ferracci, italiano emigrato negli Stati Uniti, conquista il titolo nel 1991, battendo addirittura la moto ufficiale.
All’epoca, la 888 ufficiale è vicina al limite di peso imposto dai regolamenti pari a 145 Kg, quasi 25 Kg in meno rispetto alle moto a quattro cilindri. Questo divario in termini di peso viene progressivamente ridotto fino al 1996, quando si decide di annullarlo definitivamente. Ad ogni modo, dopo la sconfitta per mano del Team Fast by Ferracci, Claudio Castiglioni dichiara: “L’essere stati battuti da una Ducati privata, per noi, è un’ottima pubblicità, perché dimostra che i mezzi che affidiamo ai team satellite sono molto competitivi, visto che possono battere perfino la nostra moto ufficiale!”.
Polen replica il successo anche l’anno successivo, stavolta a bordo della moto schierata direttamente dalla Casa di Borgo Panigale. Nel 1992, infatti, la 888 è leggermente diversa rispetto alla stagione precedente. Ciononostante, dopo il secondo titolo, il pilota americano viene rimandato negli Stati Uniti a correre nel campionato Superbike AMA, visto che quello statunitense rappresenta un mercato potenzialmente molto importante per il marchio Ducati.
Per quanto riguarda le moto da strada, nel frattempo si fa sempre più stretto il legame tra le varie versioni SP con tanto di faro e targa e quelle che corrono sui circuiti di tutto il mondo. Anche il motore del modello di serie cresce infatti fino a 888 cc, nonostante che in quello stesso periodo circolino già delle voci sull’arrivo di una nuova erede pronta a riconquistare lo scettro di regina della Superbike, visto che nel 1993 il titolo va Scott Russell su Kawasaki. E’ in arrivo la 916.
L’incredibile 916
Progettata dal genio di Massimo Tamburini (cofondatore del marchio Bimota e alla Cagiva dal 1984), la 916 si pone subito come un nuovo punto di riferimento, sia a livello di design che in termini di performance. Il suo motore ha misure caratteristiche di 94 x 66 mm, per una cilindrata totale, appunto, di 916 cc.
Il propulsore è inserito in un telaio a traliccio completamente inedito, completato da un forcellone monobraccio in acciaio (che sulla versione da gara è in magnesio). L’impianto di scarico è di tipo due in due, con i silenziatori posizionati sotto il codone. Tutto ciò, rende la 916 una moto unica e molto desiderata, senza contare il fatto che al debutto in gara, la “creatura” di Tamburini è capace di conquistare subito il titolo mondiale per mano del britannico Carl Fogarty (che però, in realtà guida una versione da 955 cc, con alesaggio di 96 e corsa di 66 cm).
Fogarty si ripete anche nel 1995, anno in cui, a livello di produzione, la 916 viene affiancata da una sorella minore: la 748. Nata con le stesse misure caratteristiche della Desmoquattro che debuttò nel 1986 al Bol d’Or, quest’ultima ha lo scopo di competere contro le quattro cilindri giapponesi di 600 cc nel campionato Supersport, che consente ai bicilindrici una cilindrata massima di 750 cc. e che si aggiudica al debutto.
Il titolo conquistato dall’australiano Troy Corser nel 1996 in sella alla 996 (98 x 66 mm) arriva in un momento tutt’altro che roseo per il marchio di Borgo Panigale, che sta colando a picco in termini di produttività, essendo passato dalle 21.000 moto costruite nel 1995 alle 12.500 del 1996. Nel mese di settembre di quello stesso anno, dunque, arriva l’annuncio che la famiglia Castiglioni è intenzionata a cedere il 49% dell’azienda alla Texas Pacific Group. Di lì a poco, tuttavia, il fondo di investimento americano ottiene anche il rimanente 51%...
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Grandi cambiamenti
Sotto la dirigenza di Federico Minoli, la fabbrica viene profondamente trasformata nel giro di pochi anni, grazie agli investimenti del proprietario statunitense. Pertanto, nel 1998 non solo Fogarty riconquista il titolo mondiale in Superbike dopo che, nel 1997, a vincerlo era stato l’americano John Kocinski sulla Honda RC45, ma la produzione delle Ducati di serie conosce un aumento del 250%! Inoltre, viene portato avanti un profondo lavoro di marketing a livello di immagine dell’azienda che genera di nuovo interesse verso i prodotti, per i quali, tuttavia, non si è più costretti ad attendere mesi prima dell’effettiva consegna. Contemporaneamente, il sudafricano Pierre Terblanche prende il posto di Massimo Tamburini (che decide di rimanere in Cagiva al fianco di Castiglioni) a capo del Centro Stile Ducati.
A questo avvicendamento se ne affianca un altro nell’area tecnica, che vede Gianluigi Mengoli succedere a Massimo Bordi verso la fine del 2000, dopo che il Direttore Generale lascia l’azienda per contrasti insanabili con Federico Minoli.
E’ con questi presupposti che vede la luce il nuovo motore Testastretta, più leggero e compatto del Desmoquattro progettato da Bordi, e con misure caratteristiche di 100 mm per l’alesaggio e 63,5 per la corsa, che determinano una cilindrata effettiva di 998 cc. Esso va ad equipaggiare la 996R e segna una prima svolta rispetto a quello che era il progetto originale del bicilindrico Ducati a quattro valvole, che, dai 115 CV della moto portata in gara da Lucchinelli nel 1987, passa ai 173 a 12.100 giri della 996 con la quale, nel 2000, la Casa di Borgo Panigale vince il titolo costruttori, mentre quello piloti va a Edwards su Honda, anche perché il portacolori del Team Ducati, il quattro volte campione del mondo Carl Fogarty, subisce un serio infortunio a inizio stagione che pone di fatto la parola fine alla sua vittoriosa carriera.
Tuttavia, l’anno successivo, la Ducati torna all’attacco con l’australiano Troy Bayliss, che riporta la corona iridata a Borgo Panigale nel 2001 proprio grazie a una moto spinta dal nuovo motore Testastretta. Rispetto a quello di serie, quest’ultimo ha misure caratteristiche ancora più spinte, pari a 104 mm per l’alesaggio e 58,8 per la corsa, le stesse che vengono riprese sulla 998R stradale del 2002. In quell’anno, il titolo SBK viene di nuovo vinto da Colin Edwards al termine di un’incredibile battaglia culminata con la gara di Imola, di fronte alla bellezza di 100.000 appassionati spettatori.
L’ultima della serie: la 999
La moto di Bayliss del 2002 è ancora caratterizzata dal telaio e dalle sovrastrutture della 916, mentre a partire dal 2003 c’è un’improvvisa rottura con il passato dovuta all’arrivo della 999 disegnata da Pierre Terblanche. Questo modello, tecnicamente più razionale rispetto alla 916, non riscuote lo stesso successo della sua progenitrice in termine di vendite, ma allo stesso tempo arriva nel momento di maggior dominio da parte di Ducati in Superbike.
La decisione da parte dei costruttori giapponesi di non partecipare in forma ufficiale al campionato (privilegiando l’impegno nella MotoGP) e l’introduzione di un unico fornitore di pneumatici (Pirelli) garantiscono alla fabbrica di Borgo Panigale due stagioni di supremazia assoluta, prima con Neil Hodgson, nel 2003, e poi con James Toseland, nel 2004.
A fermare questa striscia vincente ci pensa la Suzuki che, libera dagli air-restrictor imposti inizialmente ai quattro cilindri di 1000 cc, permette a Troy Corser di conquistare il titolo mondiale con grande autorevolezza, seguito dalla Honda di Chris Vermeulen e dalla Yamaha di Noriyuki Haga, con la Ducati nettamente staccata.
Nonostante che la moto bolognese abbia una manutenzione nettamente più impegnativa e costosa (la parte alta del motore viene revisionata ogni 750 Km, mentre quella bassa ogni 1500 Km...), ormai le quattro cilindri giapponesi di 1000 cc sono più potenti, accelerano più velocemente e hanno una migliore gestione elettronica del motore.
Dal 2004 al 2007, infatti, il Testastretta da 999 cc che equipaggia le Ducati ufficiali svilupperà sempre 192 Cv a 12.500 giri, praticamente il massimo che si può tirare fuori da questo bicilindrico. Spetta dunque a un pilota speciale tirare fuori quel qualcosa in più che possa permettere a Ducati di riconquistare il mondiale SBK. Quel pilota è, ancora una volta, Troy Bayliss che, dopo una parentesi con i prototipi, torna nelle derivate di serie nel 2006 e fa suo il Mondiale, instaurando con la 999 F06 un rapporto di simbiosi totale, frutto anche della sofisticata gestione elettronica del motore sviluppata dalla Magneti Marelli prima sulla Desmosedici in MotoGP e poi adattata alla 999.
Nel 2007, Bayliss è ancora della partita, ma, pur vincendo sette gare, non riesce a ripetersi a causa di un infortunio patito in Inghilterra (dove gli verrà amputato il dito mignolo della mano destra) e del crescente gap prestazionale tra la moto italiana e le quattro cilindri giapponesi di ultimissima generazione. Il titolo va pertanto a James Toseland in sella alla Honda del Team Ten Kate.
La Ducati ha comunque giocato sempre un ruolo da protagonista nel campionato del mondo Superbike, fin dalla sua istituzione. Il bicilindrico Desmo a V di 90° rappresenta pertanto un simbolo. Honda e Suzuki hanno provato a imitare questa architettura, ma senza mai riuscire a eguagliarne il fascino e l’esclusività, e soprattutto senza conquistare ben dodici titoli mondiali piloti… Tuttavia, le nuove tendenze del campionato del mondo Superbike, che vogliono moto più vicine alle corrispondenti di serie, fanno della 999 F07 una moto ormai pronta per infoltire le fila del Museo Ducati. Allo stato attuale, infatti, si tratta di una sorta di prototipo “travestito” da Superbike, frutto di una sofisticazione tecnica che racchiude ben venti anni di sviluppo.
Per questo motivo, oltre che per gli altissimi costi di gestione della 999 ufficiale, la Ducati ha fatto domanda presso la Federazione Motociclistica Internazionale affinché fosse innalzato il limite di cilindrata previsto per i bicilindrici fino a 1200 cc. In cambio, la Casa di Borgo Panigale accetterà limitazioni sull’impianto di alimentazione e su alcuni componenti fondamentali del motore. Si tratta, come detto, di una svolta epocale, che chiude un capitolo e ne apre un altro: quello della nuova 1098.Last edited by ruggero; 14-11-07, 11:12.
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