Beh 638 milioni di dollari da dividersi tra i 10 maggiori siti di disinformazione sul clima...
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Toxic Ten, i 10 influencer che inquinano il dibattito sul clima
Grazie a un report del CCDH, possiamo tracciare una mappa di chi muove in rete la disinformazione
Da qualche settimana sto raccontando su questo blog di un movimento, soltanto all’inizio del suo ciclo, che ha come obiettivo quello di inondare la rete di campagne di disinformazione contro le politiche necessarie a contenere i cambiamenti climatici. Reti di utenti online, organizzati tramite chat e gruppi chiusi, lanciano quotidianamente sui social una propaganda che ha lo scopo di seminare scetticismo sugli effetti dei cambiamenti climatici e attaccare le agende green dei governi. È con l’inizio della pandemia che dobbiamo far coincidere questa campagna di disinformazione. Un fenomeno in origine tutto americano ma che con la complicità dei gruppi Qanon, strutturati in tanti paesi e tra i quali anche l’Italia annovera una community molto forte, sta diventando internazionale.
Oggi grazie a un recente report del CCDH, possiamo tracciare una mappa di quali sono i principali influencer che muovono in rete i fili delle campagne disinformative atte a screditare le agende green. Parliamo di una lista di dieci editori digitali che grazie alla loro popolarità hanno generato su Facebook fino al 69% delle interazioni contro le politiche ambientali. Presi nel loro insieme questi influencer hanno organizzato un’efficiente macchina della propaganda digitale sulla negazione dei cambiamenti climatici raggiungendo 186 milioni di follower sulle principali piattaforme di social media.
Secondo i riscontri degli analisti del CCDH ci sono anche degli evidenti legami tra questi “Toxic Ten” e alcune compagnie petrolifere e del gas. Nello specifico parliamo della testata Townhall Media e del think tank Media Research Center. Non mancano neanche dei collegamenti con i media di stato russi, Russia Today e Sputnik News, responsabili di una lunga sfilza di fake news sul clima.
Oltre a queste testate tra i Toxic ten vanno annoverati Breitbart, il quotidiano gestito da Steve Bannon e il Western Journal, il cui fondatore ha affermato che il presidente Obama era musulmano. Della lista fanno parte anche il Washington Time, il Federalist Papers, un sito che ha promosso la disinformazione sul Covid, il Daily Wire, il Patriot Post e Newsmax, un giornale in prima linea nel promuovere la campagna complottista sulla frode elettorale americana poi sfociata nei fatti di Capitol Hill.
Come una perfetta direzione d’orchestra tutte queste testate sono allineate nel presentare al lettore scenari complottisti sul covid, nel metterli in guardia sulla pericolosità dei vaccini e sulla poca credibilità delle fonti scientifiche che da anni sostengono la pericolosità dei cambiamenti climatici. Insomma una sorta di copia e incolla della propaganda complottista che rimbalza da un sito all’altro fino ai post facebook e ai tweet delle varie communities dei Qanon. No vax e negazionisti sul clima, dunque, non solo condividono le stesse strategie digitali ma nascono e si fondono direttamente nella grande comunità complottista dei Qanon.
I ricercatori del CCDH hanno analizzato su Facebook un universo di 6.983 articoli sulla negazione dei cambiamenti che hanno generato un totale di 709.057 interazioni. Questa analisi mostra che i 10 principali influencer sono responsabili di quasi il 70% di questi contenuti. Ma oltre al danno c’è anche la beffa. Questo enorme volume di interazioni si è trasformato per i toxic ten in oltre un miliardo di visite solo negli ultimi sei mesi, facendoli generare, grazie al sistema AdSense di Google, un indotto economico stimato in circa 5,3 milioni di dollari. Queste entrate sono state divise tra otto dei Toxic Ten e Google stesso, facendo guadagnare agli editori digitali 3,6 milioni di dollari e a Google 1,7 milioni.
In generale, considerando tutte le loro entrate, i dieci principali diffusori di contenuti negazionisti sui cambiamenti climatici hanno un fatturato annuo stimato in 638 milioni di dollari. Insomma come per i no-vax, anche in questo caso si può parlare di una vera e propria industria della disinformazione
Ma anche Facebook non è rimasto a guardare, ottenendo dei guadagni per conto di questi influencer: otto dei Toxic Ten hanno pagato Facebook per pubblicizzare i loro contenuti negazionisti sul clima. Ed è ancora più rivelatore il fatto che il 92,16% di questi post contenenti articoli sul negazionismo climatico non avessero le etichette di verifica dei fatti. Queste etichette infatti dovrebbero essere gestite da facebook per mettere in guardia il lettore su articoli poco affidabili.
Il risultato di tutto questo è impressionante. L’effetto delle campagne disinformative ha fatto si che nel Maggio 2021 gli articoli pubblicati su facebook da uno dei toxic ten, il Daily Wire, hanno ottenuto più interazioni rispetto a quelle del New York Times e The Washington Post messe insieme. Qualcuno è ancora disposto a sostenere che complottisti e negazionisti siano dei semplici svitati fuori di testa?
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Toxic Ten, i 10 influencer che inquinano il dibattito sul clima
Grazie a un report del CCDH, possiamo tracciare una mappa di chi muove in rete la disinformazione
Da qualche settimana sto raccontando su questo blog di un movimento, soltanto all’inizio del suo ciclo, che ha come obiettivo quello di inondare la rete di campagne di disinformazione contro le politiche necessarie a contenere i cambiamenti climatici. Reti di utenti online, organizzati tramite chat e gruppi chiusi, lanciano quotidianamente sui social una propaganda che ha lo scopo di seminare scetticismo sugli effetti dei cambiamenti climatici e attaccare le agende green dei governi. È con l’inizio della pandemia che dobbiamo far coincidere questa campagna di disinformazione. Un fenomeno in origine tutto americano ma che con la complicità dei gruppi Qanon, strutturati in tanti paesi e tra i quali anche l’Italia annovera una community molto forte, sta diventando internazionale.
Oggi grazie a un recente report del CCDH, possiamo tracciare una mappa di quali sono i principali influencer che muovono in rete i fili delle campagne disinformative atte a screditare le agende green. Parliamo di una lista di dieci editori digitali che grazie alla loro popolarità hanno generato su Facebook fino al 69% delle interazioni contro le politiche ambientali. Presi nel loro insieme questi influencer hanno organizzato un’efficiente macchina della propaganda digitale sulla negazione dei cambiamenti climatici raggiungendo 186 milioni di follower sulle principali piattaforme di social media.
Secondo i riscontri degli analisti del CCDH ci sono anche degli evidenti legami tra questi “Toxic Ten” e alcune compagnie petrolifere e del gas. Nello specifico parliamo della testata Townhall Media e del think tank Media Research Center. Non mancano neanche dei collegamenti con i media di stato russi, Russia Today e Sputnik News, responsabili di una lunga sfilza di fake news sul clima.
Oltre a queste testate tra i Toxic ten vanno annoverati Breitbart, il quotidiano gestito da Steve Bannon e il Western Journal, il cui fondatore ha affermato che il presidente Obama era musulmano. Della lista fanno parte anche il Washington Time, il Federalist Papers, un sito che ha promosso la disinformazione sul Covid, il Daily Wire, il Patriot Post e Newsmax, un giornale in prima linea nel promuovere la campagna complottista sulla frode elettorale americana poi sfociata nei fatti di Capitol Hill.
Come una perfetta direzione d’orchestra tutte queste testate sono allineate nel presentare al lettore scenari complottisti sul covid, nel metterli in guardia sulla pericolosità dei vaccini e sulla poca credibilità delle fonti scientifiche che da anni sostengono la pericolosità dei cambiamenti climatici. Insomma una sorta di copia e incolla della propaganda complottista che rimbalza da un sito all’altro fino ai post facebook e ai tweet delle varie communities dei Qanon. No vax e negazionisti sul clima, dunque, non solo condividono le stesse strategie digitali ma nascono e si fondono direttamente nella grande comunità complottista dei Qanon.
I ricercatori del CCDH hanno analizzato su Facebook un universo di 6.983 articoli sulla negazione dei cambiamenti che hanno generato un totale di 709.057 interazioni. Questa analisi mostra che i 10 principali influencer sono responsabili di quasi il 70% di questi contenuti. Ma oltre al danno c’è anche la beffa. Questo enorme volume di interazioni si è trasformato per i toxic ten in oltre un miliardo di visite solo negli ultimi sei mesi, facendoli generare, grazie al sistema AdSense di Google, un indotto economico stimato in circa 5,3 milioni di dollari. Queste entrate sono state divise tra otto dei Toxic Ten e Google stesso, facendo guadagnare agli editori digitali 3,6 milioni di dollari e a Google 1,7 milioni.
In generale, considerando tutte le loro entrate, i dieci principali diffusori di contenuti negazionisti sui cambiamenti climatici hanno un fatturato annuo stimato in 638 milioni di dollari. Insomma come per i no-vax, anche in questo caso si può parlare di una vera e propria industria della disinformazione
Ma anche Facebook non è rimasto a guardare, ottenendo dei guadagni per conto di questi influencer: otto dei Toxic Ten hanno pagato Facebook per pubblicizzare i loro contenuti negazionisti sul clima. Ed è ancora più rivelatore il fatto che il 92,16% di questi post contenenti articoli sul negazionismo climatico non avessero le etichette di verifica dei fatti. Queste etichette infatti dovrebbero essere gestite da facebook per mettere in guardia il lettore su articoli poco affidabili.
Il risultato di tutto questo è impressionante. L’effetto delle campagne disinformative ha fatto si che nel Maggio 2021 gli articoli pubblicati su facebook da uno dei toxic ten, il Daily Wire, hanno ottenuto più interazioni rispetto a quelle del New York Times e The Washington Post messe insieme. Qualcuno è ancora disposto a sostenere che complottisti e negazionisti siano dei semplici svitati fuori di testa?
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