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36 anni fa CHERNOBYL

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    36 anni fa CHERNOBYL


    Il 26 aprile del 1986 è la data che cambiò il mondo ma che il mondo scoprì in ritardo. Sono passati 36 anni esatti e chi lo ha vissuto non dimentica soprattutto una cosa: di quel sabato non si seppe nulla, per giorni. E anche quando si seppe non si capì tutto, per settimane. Il 26 aprile il «Corriere della Sera» in prima pagina riportava la notizia di un’autobomba a Madrid che aveva causato cinque morti: il ritorno del terrorismo basco. Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga aveva visitato il giorno prima il Muro di Berlino, mentre a Genova c’era stato «un altro morto per il vino al metanolo».




    L’esplosione all’una e ventitré

    Qualche ora prima della stampa del giornale, in piena notte, all’una e ventitré minuti ora UTC+4 - dunque le 23:23 del 25 aprile in Italia - era esploso il reattore numero 4 della centrale atomica Lenin, diventata nota come la centrale di Chernobyl: il peggior disastro nucleare civile della storia. Non ce ne fu traccia nemmeno sui giornali e sui telegiornali di domenica 27 aprile: le “pensioni pericolanti” e il “deficit commerciale” furono le due notizie del giorno, mentre in fondo alla pagina un reportage dello storico inviato di guerra Ettore Mo era intitolato: «Con i mujaidin sotto il fuoco dei Mig russi».

    Anche il lunedì: niente. Il primo titolo che nominò in prima pagina “Chernobil”, scritto con la i, fu quello di apertura del martedì 29 aprile: «Sciagura nucleare in Urss». Seguivano notizie frammentarie e prudenti: “Alcune vittime, le radiazioni giunte fino in Scandinavia”. Solo il 30 aprile, quattro giorni dopo, la prudenza evaporò lasciando al suo posto l’angoscia: “Paura nucleare sull’Europa” era il titolo a tutta pagina. “Kiev città chiusa. L’Urss chiede aiuto, migliaia i morti?”, proseguiva la titolazione con una domanda che non ha una risposta esatta nemmeno 36 anni dopo.


    ento, nubi e radiazioni. A quel punto fu il panico: c’era la Guerra Fredda e c’erano state le bombe di Hiroshima e Nagasaki: tutti sapevano perfettamente cosa comportassero le radiazioni e la fissione nucleare. “In Danimarca lunghe file si sono formate fuori dalle farmacie: la gente cerca pasticche di iodio per combattere gli effetti delle radiazioni. In Svezia sono andate esaurite in meno di mezz’ora” riportavano i dispacci già in prima pagina. Un passaggio che potrebbe risultare estrapolato dai giornali di poche settimane fa quando, in relazione all’occupazione della centrale di Chernobyl da parte dei russi, il ministro della Difesa norvegese Odd Roger Enoksen ha esortato la popolazione a procurarsi “una scorta di pillole di iodio per almeno tre giorni”.


    I radionuclidi su frutta, verdura e latte in Italia

    Solo il 3 maggio si iniziò poi a parlare del problema della frutta e della verdura: “Pioggia radioattiva su tutta la città” fu il titolo dell’apertura dell’edizione romana del «Corriere» quel giorno. “Contraddittorie le notizie sull’entità del fenomeno. Sit-in degli ecologisti di fronte all’ambasciata sovietica”. I radionuclidi nella nube, come emerse, potevano approfittare del passaggio della pioggia per scendere a terra, entrare nei vegetali e anche nel latte attraverso il mangime per le mucche. Mangiare un pomodoro era diventata un’angoscia. E per giunta lo si scopriva in ritardo: da ormai più di una settimana erano in circolazione, invisibili, le radiazioni e il terribile “iodio 131”, la cui emivita è di appena una settimana, e il cesio 133 e 137. Apertura del Corriere nazionale del 6 maggio: “Mancano le mozzarelle, a ruba i surgelati”. Il 9 maggio: A Roma buttati 50 mila litri di latte nella discarica di Malagrotta.

    Oggi che la rete e i social network permettono di seguire una guerra in diretta, con aggiornamenti continui su uno smartphone tenuto in tasca, la lentezza con cui prese forma la nube radioattiva che si muoveva sull’Europa sembra appartenere a un mondo in bianco e nero. L’informazione era un puzzle da completare più che un flusso di dati continui.
    I blocchi di notizie impiegavano ore a passare da una ristretta cerchia di persone all’opinione pubblica. Sembra storia anche se molti di noi lo hanno vissuto e lo ricordano bene. Il mondo intero, nel frattempo, ha conosciuto anche il terrorismo in diretta live con la scena del secondo aereo sulle Torri gemelle di New York l’11 settembre del 2001 e il loro collasso. Ma allora non solo la tecnologia dei media era diversa. Era diverso il mondo: l’esplosione era avvenuta al di là della Cortina di ferro, del Muro di Berlino, in pieno territorio dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
    da corrieredellasera

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