Ghost pitùr, lei si dichiara antifascista? «Effettivamente ordine, decoro, pulizia, sembrano parole un po' fasciste. Io però ne faccio un discorso di rispetto: amare la propria città significa tutelarla dalle deturpazioni e dai vandalismi. E cancello di tutto: dai messaggi politico-sociali alle frasette d’amore».

Il nome e il cognome non li vuole rendere noti, nonostante i suoi video sui profili social contino già milioni di visualizzazioni. Di certo c’è che “ghost pitùr” di giorno fa l’imbianchino; di notte, invece, su la maschera (o meglio, il cappuccio della felpa con cui appare nei video) e giù in strada, per le vie del centro storico di Brescia, dove il pittore fantasma è nato e dove vive e opera. Con un obiettivo: applicare uno strato di pittura in più ai muri delle proprietà e dei palazzi storici della città, per rimuovere scritte e disegni abusivi che vi si sono accumulati nel tempo e riportarli al loro aspetto originario.
«Non lo faccio per fama, per visibilità, o per soldi. È un “atto di amore urbano”, come lascio scritto sui miei biglietti da visita. Un gesto non richiesto, per questo scelgo di agire sempre nell’ombra, senza rivelarmi». Ghost pitùr non è convinto di riuscire, da solo, ad invertire la rotta di un fenomeno così diffuso. Però «la mia è un’opera di sensibilizzazione: servirebbero tanti ghost pitùr che scendano in strada e facciano quello che faccio io. Ovviamente con i materiali, gli strumenti e le competenze adeguate, se no il risultato è peggio di prima».
Alcuni dei graffiti che il “pitùr” rimuove potrebbero essere catalogati come “street art”: diversi l’hanno accusato di non rispettare libere espressioni artistiche. «Faccio l’imbianchino, non lo storico dell’arte. Però so discernere la bruttura dal gesto artistico, e riconosco anche quando un disegno riqualifica e arricchisce un muro spoglio e malmesso». Ma in Italia la deturpazione urbana è un problema? «Credo di sì. A differenza di altre parti d’Europa, mancano sia la giusta sensibilità da parte dei cittadini, sia provvedimenti che difendano i centri. Mi dicono che non faccio volontariato perché non aiuto chi ha bisogno. Ma per me muri e facciate delle città sono i primi ad aver bisogno di cura».
Il “ghost pitùr” è un anonimo che, nascondendo la propria identità dietro a un nickname, interviene su di una proprietà senza il consenso del proprietario, e alla fine diffonde anche le sue gesta sui social. Qualche somiglianza con l’operato dei cosiddetti “writer”, i suoi antagonisti, in effetti c’è. Ma allora qual è la differenza? «Loro alterano, io ripristino. Il mio intervento è conservativo. E poi mi pongo dei limiti: non tocco gli edifici sottoposti a vincoli storici o artistici, per cui è necessario ottenere il via libera della soprintendenza». È stato definito un censore, uno che limiterebbe la libertà di espressione e si prenderebbe con la forza gli spazi della città. «I miei principi sono saldi: chiunque è libero di dire ciò che pensa. Non di scriverlo su un muro».

Il nome e il cognome non li vuole rendere noti, nonostante i suoi video sui profili social contino già milioni di visualizzazioni. Di certo c’è che “ghost pitùr” di giorno fa l’imbianchino; di notte, invece, su la maschera (o meglio, il cappuccio della felpa con cui appare nei video) e giù in strada, per le vie del centro storico di Brescia, dove il pittore fantasma è nato e dove vive e opera. Con un obiettivo: applicare uno strato di pittura in più ai muri delle proprietà e dei palazzi storici della città, per rimuovere scritte e disegni abusivi che vi si sono accumulati nel tempo e riportarli al loro aspetto originario.
«Non lo faccio per fama, per visibilità, o per soldi. È un “atto di amore urbano”, come lascio scritto sui miei biglietti da visita. Un gesto non richiesto, per questo scelgo di agire sempre nell’ombra, senza rivelarmi». Ghost pitùr non è convinto di riuscire, da solo, ad invertire la rotta di un fenomeno così diffuso. Però «la mia è un’opera di sensibilizzazione: servirebbero tanti ghost pitùr che scendano in strada e facciano quello che faccio io. Ovviamente con i materiali, gli strumenti e le competenze adeguate, se no il risultato è peggio di prima».
Alcuni dei graffiti che il “pitùr” rimuove potrebbero essere catalogati come “street art”: diversi l’hanno accusato di non rispettare libere espressioni artistiche. «Faccio l’imbianchino, non lo storico dell’arte. Però so discernere la bruttura dal gesto artistico, e riconosco anche quando un disegno riqualifica e arricchisce un muro spoglio e malmesso». Ma in Italia la deturpazione urbana è un problema? «Credo di sì. A differenza di altre parti d’Europa, mancano sia la giusta sensibilità da parte dei cittadini, sia provvedimenti che difendano i centri. Mi dicono che non faccio volontariato perché non aiuto chi ha bisogno. Ma per me muri e facciate delle città sono i primi ad aver bisogno di cura».
Il “ghost pitùr” è un anonimo che, nascondendo la propria identità dietro a un nickname, interviene su di una proprietà senza il consenso del proprietario, e alla fine diffonde anche le sue gesta sui social. Qualche somiglianza con l’operato dei cosiddetti “writer”, i suoi antagonisti, in effetti c’è. Ma allora qual è la differenza? «Loro alterano, io ripristino. Il mio intervento è conservativo. E poi mi pongo dei limiti: non tocco gli edifici sottoposti a vincoli storici o artistici, per cui è necessario ottenere il via libera della soprintendenza». È stato definito un censore, uno che limiterebbe la libertà di espressione e si prenderebbe con la forza gli spazi della città. «I miei principi sono saldi: chiunque è libero di dire ciò che pensa. Non di scriverlo su un muro».
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