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Anche la Perugina a rischio

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    #1

    Anche la Perugina a rischio

    Lo stabilimento Nestl? di Perugia San Sisto, sede esclusiva dell?icona della storia dolciaria italiana e simbolo del Made in Italy nel mondo, rischia di chiudere i battenti. E come ogni chiusura- cui purtroppo il nostro Paese sembra oggi essersi tristemente abituato per via di una crisi sempre pi? soffocante- anche questa notizia non pu? lasciare indifferenti, sia perch? porta con s? il destino di migliaia di lavoratori italiani che si ritroverebbero da un giorno all?altro senza lavoro, ma anche perch?, dietro le astute mosse della multinazionale, potrebbero celarsi interessi economici conseguenziali all?entrata in vigore del regolamento europeo 1169/11 (avvenuta in Italia lo scorso 14 Dicembre) che prevede l?abolizione dell?obbligo di inserimento nelle etichette alimentari della sede di produzione.

    Le dichiarazioni ufficiali che ruotano intorno la paventata chiusura dello stabilimento di Perugina, passata a Nestl? Italiana s.p.a. nel lontano 1991, vertono principalmente sulle difficolt? economiche in cui versa la fabbrica, dato che, secondo quando comunicato pubblicamente, le previsioni per l?anno 2015 dei volumi produttivi saranno ulteriormente in calo rispetto all?anno precedente. Eppure, nonostante lo scorso febbraio i sindacati abbiano sostenuto i dipendenti della fabbrica con tanto di manifestazione ed abbiano annunciato a gran voce la ?vertenza Perugina?, nessun segnale di reazione, o di speranza, sembra essere trapelato dai vertici della multinazionale, convocati d?urgenza lo scorso 3 Febbraio a Palazzo Donini dalla presidente della Regione, Catiuscia Marini. Forse la multinazionale- che per sua natura tende ad anteporre logiche di profitto ad ogni spirito umanitario- ha gi? confrontato i costi che gravano sullo stabilimento italiano con gli eventuali risparmi garantiti in caso di trasferimento della stessa produzione altrove. Un?ipotesi che fa riflettere e che ci fa ricordare in che modo l?entrata in vigore del regolamento europeo sopra citato abbia addirittura incentivato la delocalizzazione dei grandi marchi, non essendo pi? previsto l?inserimento delle sede di produzione, con la possibilit?- da parte della multinazionale- di continuare a produrre all?estero un prodotto falsamente indicato come italiano (in questo caso).

    Gi? in una recente intervista rilasciata a L?Intellettuale Dissidente, l?avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare ed autore del libro ?L?etichetta?, ci aveva dettagliatamente spiegato i possibili i effetti derivanti dall?entrata in vigore di tale regolamento, affermando che ?se il c.d. ?Italian sounding? pu? venire liberamente confuso con il ?Made in Italy?, senza bisogno di informare i consumatori globali che un alimento dal marchio italiano ? in realt? prodotto altrove, gli imprenditori pi? scaltri non esiteranno a trasferire le produzioni in altri Paesi, europei e non, dove ?conviene di pi??. Conviene di pi? perch? si pu? costruire un capannone senza attendere due anni l?autorizzazione, conviene di pi? perch? l?imposta sui redditi d?impresa ? pi? bassa, conviene di pi? perch? esistono incentivi fiscali o contributivi o di altra natura, e cos? via?. Regolamento a cui il Governo italiano, pi? volte sollecitato da associazioni cittadine e numerose petizioni come quella di Great Italian Food Trade (qui il link), sembra non aver associato il grave grido di allarme teso a pregiudicare duramente l?intero Made in Italy.

    Un esempio di delocalizzazione gi? avviato dalla Nestl? riguarderebbe proprio il caso Buitoni: mentre ? da anni incerto il futuro dello stabilimento di Arezzo- di fronte la scarsa volont?, da parte dell?impresa, di lavorare per individuare nuovi progetti ed investimenti sul territorio- il colosso svizzero continua ad investire sulla produzione di pizze italiane falsamente indicate o richiamate come toscane (d?altronde come pu? capirlo un consumatore che acquista il prodotto in un normale supermercato?). Tutto questo mentre il Governo italiano approva l?ennesima tassa per i terreni agricoli facendo finta di valorizzare l?agricoltura attraverso un Expo, quello di Milano, interamente sponsorizzato da multinazionali come Coca e McDonald.

    Fonte: L?Intellettuale Dissidente

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    #2
    grazie italia...grazie sindakati...grazie europa aperta ai paese emergenti..grazie per portare ancora immigrati in cerca di lavoro..potranno lavorare per perugina o buitoni...o cirio

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      #3
      ormai l'Italia ? come entrata in un vortice che la porter? alla disfatta totale ! che ***** di repubblica fondata sul lavoro ? ?! se non conviene lavorare !

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        #4
        vabbe', non e' piu' italiana da mo'... nestle' e' svizzera se non sbaglio... il marchio e' loro, al limite chiudono in italia, come stanno facendo tutti.
        la cosa fuori di testa e' che con le regole ue non si possono mettere in campo misure protezionistiche, cosi' dall'estero comprano i marchi, il knowhow, aprono nei loro paesi, e poi chiudono in italia.

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          #5
          pelugina anche qui?

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            #6
            Originally posted by Larsen_EE View Post
            vabbe', non e' piu' italiana da mo'... nestle' e' svizzera se non sbaglio... il marchio e' loro, al limite chiudono in italia, come stanno facendo tutti.
            la cosa fuori di testa e' che con le regole ue non si possono mettere in campo misure protezionistiche, cosi' dall'estero comprano i marchi, il knowhow, aprono nei loro paesi, e poi chiudono in italia.

            sempre l'Europa di mezzo


            pensa che ci dicono anche quando devono essere lunghe le zucchine +



            per? parlare male dell'europa mica si deve fare

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