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I 7 peccati capitali nel cinema

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    I 7 peccati capitali nel cinema






    Dalla letteratura al cinema, dalla storia dell’arte alla musica, i sette peccati capitali – Ira, Invidia, Avarizia, Gola, Accidia, Lussuria e Superbia – sono stati sempre un argomento che ha affascinato studiosi, letterati, artisti e anche numerosi registi, che hanno deciso di dedicarvisi con passione.

    In questo articolo collettivo, abbiamo deciso di raccogliere una serie di titoli di pellicole che sviluppano questa tematica, spaziando da film di culto come Harry a pezzi di Woody Allen fino ad arrivare a pellicole più di nicchia e underground come il coreano Agassi di Park Chan-wook, addentrandoci in un percorso mistico che attualizza un tema arcaico come l’espiazione e la presa di coscienza di questi peccati che, oggi in particolar modo, sono entrati sempre più prepotentemente a far parte della nostra quotidianità.



    IRA

    ARANCIA MECCANICA, 1971, Kubrik



    Il protagonista di una delle più celebri pellicole di Kubrik è Alex, un giovane londinese dai gusti assai improbabili. Le sue passioni principali, come lui stesso ama ricordare, sono lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven. È il capo di una banda criminale, i drughi, con i cui membri ama condividere le serate all’insegna, appunto, della violenza, andando in giro per la città a torturare passanti, malmenare membri di altre bande, rubare negli appartamenti e commettere stupri.

    Un ragazzo assai controverso, molto gentile nei modi all’apparenza, ma ossessionato così tanto dalla violenza e dal sesso da rivelarsi un individuo fortemente pericoloso e imprevedibile. Neanche con i suoi compagni di banda trattiene la sua Ira, soprattutto quando questi assumono comportamenti che lui non riesce a tollerare. Quando, durante una delle sue scorribande, verrà arrestato dalla polizia e accusato dell’omicidio di una delle sue vittime, la vita di Alex prenderà una piega tutt’altro che positiva. Il carcere sarà per lui luogo di sconfitta personale ed egli farà il possibile per scappare da quella realtà ostile, anche a costo di rinunciare totalmente a se stesso.

    Tratto dal romanzo “A Clockwork Orange”, il film diretto da Stanley Kubrik è uno dei suoi più grandi capolavori, acclamato dalla critica e dal pubblico. Agli oscar del 1972 fu candidato a 4 statuette, senza, però, portarne a casa nessuna.



    INVIDIA

    AMADEUS, Milos Forman, 1984



    Prendendo spunto dall’opera Mozart e Salieri, scritta nel 1830 dal poeta russo Puskin, Amadeus, diretto dal regista ceco Miloš Forman e sceneggiato dal drammaturgo Peter Shaffer, mette in scena la presunta invidia provata dal compositore italiano Antonio Salieri (F. Murray Abraham) per l’enfant prodige per eccellenza: Wolfgang Amadeus Mozart (Tom Hulce). Il film è narrato tramite i flashback di Salieri il quale, ormai vecchio e dimenticato, si ritrova in manicomio dopo un tentativo di suicidio e decide di confessare tutto il suo malessere al parroco. Da abile compositore di corte quale egli si reputava, si scopre presto, con sommo orrore, essere un compositore mediocre in confronto al ben più talentuoso, ma giovane e irriverente, Mozart, per il quale tuttavia non potrà fare altro che provare ammirazione durante tutto il film. Non potendo accettare che, secondo la sua logica, Dio abbia concesso un tale dono a un personaggio così volgare e libertino, Salieri cederà al peccato dell’invidia, escogitando piani diabolici per strappare segreti al giovane compositore e per sabotare le sue esibizioni, fino a meditare il suo omicidio. All’inizio del film, il musicista italiano si racconta come un uomo di fede che ha offerto se stesso a Dio per poter diventare un musicista, lavorando duramente e aiutando i bisognosi, ma queste qualità vengono spazzate via col progredire del racconto, dal momento che il suo animo viene corroso dall’invidia, la quale lo porta a rifiutare addirittura la fede alla quale si era aggrappato per poter fare musica. Un racconto esemplificativo su quanto l’invidia possa trasformare l’uomo più retto in una canaglia senza scrupoli, qui reso in modo assai più potente e palese, dal momento che la stragrande maggioranza delle persone non possiede il talento di Mozart. Salieri diventa, quindi, potenzialmente uno specchio per noi tutti.

    La pellicola ha ricevuto otto Premi Oscar e quattro Golden Globe, ma tengo a precisare che l’ostilità tra i due musicisti fosse soltanto una diceria.



    AVARIZIA

    The Wolf of Wall Street (M.Scorsese, 2013)



    The Wolf of Wall Street è una commedia nera che racconta la vita di Jordan Belfort, broker newyorkese ambizioso che sogna una vita migliore.

    Inizia un nuovo lavoro a Wall Street, ma lo perde il giorno stesso, in seguito al collasso del mercato finanziario. Risale la vetta del successo con una piccola azienda di brokeraggio, la Stratton Oakmont, che gli porta denaro, droghe, donne, amici, ma anche molti problemi con la legge. Jordan, nella sua ascesa, si scontrerà con un’inchiesta dell’FBI, che gli farà perdere amici, moglie e le sue amate ricchezze.

    Il regista Martin Scorsese dipinge il protagonista come un uomo ambizioso, che non ha paura di reinventarsi e spingersi oltre i limiti nel mondo della finanza, dove i broker sono descritti come avvoltoi che vogliono accaparrarsi quanto più possono.

    L’Avarizia fa perdere la bussola morale, andando contro i valori appresi, proprio come fanno i vari personaggi del film che, accecati dalla fama e dal denaro, si tradiscono tra di loro, scordandosi dei valori di amicizia che li avevano caratterizzati dall’inizio.

    L’Avarizia del protagonista, Jordan Belfort, lo fa cambiare: da semplice uomo con una moglie e una famiglia amorevole, si trasforma, con il potere dei soldi e delle droghe, in un uomo senza scrupoli. Pur di scalare la cima ed arrivare ai vertici di Wall Street, egli stesso si considera un leone affamato.

    Scorsese, nelle varie scene, riprende la trasformazione di Belfort nei vari punti della sua vita e nei momenti più critici della sua discesa in picchiata verso l’inferno.

    Il lungometraggio ha vinto 1 Golden Globe ed ha ricevuto ben 5 nomination agli Oscar.



    GOLA

    Chocolat, Lasse Hallström (2000)



    Il cioccolato è davvero la cura a tutti i mali, o, forse è un male esso stesso.

    È l’incarnazione della Gola, è la tentazione fatta…gusto.

    “Madre e figlia erano destinate a vagare da un villaggio all’altro, preparando antichi rimedi a base di cacao. Viaggiando, con il vento”.

    1959, Lasquenet, Francia: la monotona vita degli abitanti è turbata dall’arrivo di Vianne Rochet (Juliette Binoche), che con la figlia Anouk al seguito, trasforma un locale abbandonato in una invitante e accattivante pasticceria. Vianne riempie bancone e vetrina di deliziosi cioccolatini, creati in mille modi diversi, cercando di scoprire e accontentare i gusti di tutti.

    Tutto questo, però, attira l’attenzione non favorevole del sindaco, il conte di Raynaud, che tiene il paese sotto regole rigide e invita Vianne a moderare la sua attività.

    Nonostante ciò, la pasticcera prosegue intensamente con la sua travolgente passione, con il suo infallibile istinto, capace di capire i gusti delle persone.

    Ci riuscirà con tutti, ma non con Roux (Johnny Depp): servirà la semplicità per accontentarne il palato. E così gli abitanti del paese, anche i più restii, si lasciano ammaliare dal cioccolato, abbandonandosi spesso al peccato della Gola: “Come sa che non gli piace la cioccolata se non l’ha mai assaggiata?”.

    Distruggere il cioccolato per tentare di sottrarsi al peccato della Gola? Impossibile: nell’atto di farlo, anche il sindaco, il conte di Raynaud, si abbandona perdutamente al peccato, divorando le sculture e lasciandosi andare ad un piacere…delizioso.

    “Credo che dobbiamo misurare la bontà in base a ciò che abbracciamo, a ciò che creiamo e a chi accogliamo”: il cioccolato, in fin dei conti, potrebbe essere un male o…la soluzione a tutti i mali.




    ACCIDIA

    Melancholia, L. Von Trier (2011)



    Ci sono due donne, Justine e Claire e c’è un pianeta, Melancholia, che inesorabilmente sta puntando verso la Terra.

    Il film, diviso in due capitoli, è introdotto da un lungo preludio musicale (“Tristan und Isolde Prelude” di Richard Wagner) e visuale, che introduce lo spettatore alla storia.

    Justine (Kirsten Dunst) e la sua visione della vita occupano la prima parte del film ed emergono con prepotenza in occasione della celebrazione delle proprie nozze.

    Justine è una giovane donna inquieta, nemica dei protocolli e delle imposizioni sociali, incontenibile, che manifesta insofferenza nei confronti delle regole. Seppur innamorata dell’uomo che sta sposando, Justine non può fare a meno di dubitare circa il ruolo di moglie che sarà chiamata ad interpretare e che teme possa strozzarla in una classificazione senza scampo.

    Claire, protagonista della seconda parte, è invece una donna posata, rigida, maniaca del controllo, che trova nelle classificazione e nelle regole quel vitale senso di sicurezza che le permette di vivere serenamente la propria borghese e ineccepibile esistenza.

    Melancholia incombe. L’impatto con il pianeta terra è inevitabile e le due donne si preparano ad accogliere l’ignoto, ad assistere all’apocalisse. Per Justine si tratterà di un percorso verso una serena accettazione; Claire, invece, sarà sopraffatta dall’angoscia, sgradevole ed insopportabile consapevolezza che niente è più sotto controllo.

    L’Accidia in questo film è incarnata da Justine: sorella minore e donna in carriera, che arriva al matrimonio organizzato meticolosamente dalla sorella piena di dubbi e incertezze. Sostenuta da un sorriso che non leva mai davanti agli altri, attraversa faticosamente il festeggiamento nuziale, lasciandosi trasportare dagli eventi e nascondendosi, metaforicamente e fisicamente, dagli invitati per lunghi periodi. Alla ricerca di una pace interiore che sembra sfuggirle, Justine vaga talvolta con curiosità, talvolta spinta dalla necessità di celarsi al mondo, nelle stanze dello sfarzoso palazzo, senza una meta precisa. Contenuta e diretta dalla sorella Claire e dal neo sposo Michael (Alexander Skarsgård), si lascerà pigramente dirigere dagli eventi, per poi farli precipitare irrimediabilmente alla fine della serata.




    LUSSURIA

    Agassi (아가씨, The handmaiden), 2016, Park Chan-wook



    In una Corea sotto il dominio del Giappone, la giovane Sook-hee viene incaricata da un truffatore, il “conte Fujiwara”, di diventare l’ancella di Hideko, giovane ereditiera che il conte vuole sposare. Così Sook-hee diventa “Tamako” e si inserisce nell’abitazione del tirannico zio Kouzuki.

    Parlare degli ulteriori sviluppi della trama di Agassi (아가씨, The handmaiden) rovinerebbe l’esperienza di una prima visione di questo film, con i suoi complicati intrecci e colpi di scena. E sarebbe, oltretutto, superfluo: la trama è soltanto un pretesto per Park Chan-wook, che la utilizza per raccontarci (o meglio, per voyeristicamente mostrarci) l’erotismo nelle sue diverse sfaccettature, esaltando la vista dello spettatore con la fotografia di Chung Chung-hoon (che aveva già collaborato col regista in Oldboy e Stoker). Proprio per questi motivi, la scelta di Agassi per parlare della Lussuria mi è parsa quasi automatica.

    Già, perché è difficile trovare altri film che parlino di erotismo fine a se stesso: il sesso è presente nella maggior parte dei film ormai, ma sempre come accompagnamento alla trama (o per attirare lo sguardo del pubblico). In questo caso, il sesso è protagonista assoluto: abbiamo il rapporto freddo e asettico di Hideko con il sesso, che disprezza gli stessi uomini; abbiamo il sincero ed estremamente erotico sguardo adoratore di Sook-hee nei confronti della sua dama; ma, soprattutto, abbiamo il personaggio dello zio, il cui rapporto con l’erotismo è il motore stesso della storia di Hideko.

    Un fattore degno di nota è come le protagoniste non subiscano mai, da parte del regista e dello spettatore, il male gazing: Hideko, obbligata a leggere romanzi erotici di fronte a un pubblico di pochi scelti dallo zio, diventa strumento oggettivato dello sguardo dell’uomo; ma, guardando queste scene, lo spettatore rimane solo estasiato dalla fotografia, e la carica erotica si perde dal momento in cui si percepisce Hideko per quella che è: fredda e calcolatrice, frutto di ciò che ha dovuto subire per anni, capace di usare il sesso e la propria finta innocenza per ingannare il prossimo. Sook-hee, invece, che sembra anche lei essere solo vittima passiva del piano di altri, prende l’iniziativa per quanto riguarda il sesso, lo vive con la curiosità e la malizia degli inesperti, tutto ciò non diventando un oggetto erotico al di fuori del piano della narrazione.

    Agassi è, insomma, un film che rende l’erotismo arte pura, senza cercare di rimuovere la componente voyeristica e senza oggettivare (troppo) il corpo delle donne. E tutto ciò accompagnato da una trama avvincente, tematiche più che attuali, costumi e ambientazioni mozzafiato.




    SUPERBIA

    Harry A Pezzi (1997), regia di Woody Allen



    Quale personaggio può rappresentare meglio la Superbia di Harry? Harry è uno scrittore in crisi, perché non riesce più a scrivere storie.

    Donnaiolo patentato e dall’ego smisurato, è odiato da tutte le persone della sua vita: così, oltre ai problemi di messa a fuoco nel suo lavoro – e non solo – vive un profondo disagio, perché non ha nessuno con cui andare a ricevere l’onorificenza da parte dell’università che lo aveva espulso.

    Non accetta di essere giudicato né nel bene né nel male da altre persone.

    Attraverso una serie di racconti l’io del personaggio è sempre più marcato fino ad arrivare letteralmente all’ultimo piano dell’inferno, dove incontra il re degli inferi e sostiene, addirittura, di essere peggio di lui.




    I SETTE PECCATI CAPITALI

    SE7EN (David Fincher, 1995)





    Gola, Avarizia, Accidia, Lussuria, Superbia, Invidia, Ira: i peccati capitali, ormai, permeano completamente la nostra società, tanto da poterli scovare in ogni angolo e identificarli in ogni singola persona che ci troviamo di fronte. John Doe (Kevin Spacey), non è “solamente” un assassino seriale con un nome volutamente anonimo, ma un vero e proprio predicatore degenerato alle prese con il lavoro della sua vita, ovvero narrare i propri sermoni nel giro di 7 giorni, esattamente come i vizi capitali. Le scene del crimine sono la carnificazione delle proprie convinte idee: quadri funebri, paradossalmente suggestivi, che i detective Somerset (Morgan Freeman) e Mills (Brad Pitt), ripercorrendo l’archetipo padre/figlio, saranno costretti ad ammirare in giro per questa città senza nome, dove una pioggia incessante regna incontrastata fino a quando il personaggio di Spacey non si costituisce, innescando così l’ultima fase del suo disegno. Un climax finale impressionante, in cui il predicatore si abbandona all’Invidia per trasformare il detective Mills in pura Ira vendicativa, così da concludere il proprio lavoro.

    Dopo la regia del terzo capitolo della saga di “Alien”, Fincher passa al noir/thriller dirigendo, in maniera perfetta, una pellicola di genere, incredibilmente densa a livello di struttura narrativa, con una fotografia ispiratissima e con un colpo di scena finale azzeccato e d’impatto, firmando, così, una delle migliori pellicole degli anni ’90.


    Fonte: Cabiriams.com
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