Tratta dal libro "Quello che le canzoni non dicono"
L’emblema del country rock americano, un brano che ha oltrepassato gli steccati dei generi e che ha segnato l’apice creativo (e di successo) degli Eagles, che non riusciranno più ad arrivare a questi livelli. E' una delle “500 canzoni della Rock and Roll Hall of Fame che hanno forgiato il Rock and Roll” ("The Rock and Roll Hall of Fame’s 500 Songs that Shaped Rock and Roll") e il suo lungo assolo finale di chitarra è stato votato come miglior assolo di chitarra di tutti i tempi dai lettori di "Guitarist" nel 1998.
Parliamo ovviamente di "Hotel California", canzone-simbolo degli Eagles, capace quasi di oscurare una carriera peraltro lunga e piena di grandi canzoni.
Gran parte del successo della canzone, almeno nei paesi di lingua inglese, si deve al contrasto fra una melodia dolce e orecchiabile e un testo invece piuttosto drammatico e anche sinistro. Il testo della canzone descrive l’Hotel California (quello raffigurato sulla copertina del disco è il Beverly Hills Hotel che in quegli anni era diventato il punto focale letterale e simbolico della vita degli Eagles) come una struttura di gran lusso dove «You can check out any time you like but you can never leave» («puoi lasciare libera la stanza quando vuoi ma non potrai andartene mai»). Lo stesso Don Henley - coautore del testo - ha dichiarato: «È una canzone che parla del lato oscuro del sogno americano e dell’eccesso in America, che era qualcosa che conoscevamo assai bene».
Nessuno dei membri della band era californiano: Randy Meisner era del Nebraska, Don Henley del Texas, Glenn Frey del Michigan, Don Felder della Florida e Joe Walsh veniva dal New Jersey (era appena entrato nella formazione in sostituzione di Bernie Leadon, unico californiano del gruppo), e nella canzone la California è vista dalla prospettiva di un estraneo. Ha raccontato Don Felder: «Mentre guidi di notte puoi vedere le luci di Hollywood e di Los Angeles per 100 miglia nel deserto e all’orizzonte. Mentre stai guidando, cominciano a venirti in mente tutte queste immagini della propaganda e della pubblicità che hai visto... le star del cinema, le stelle di Hollywood Boulevard, le spiagge, i bikini, le palme, tutte quelle immagini che vedi e che la gente ha in mente quando pensa alla California».
Stessa cosa confermata da Don Henley: «Eravamo tutti bambini della classe media del Midwest, l’Hotel California era la nostra interpretazione della bella vita di Los Angeles”
Felder, autore della musica, nel 1975 ha affittato una casa sulla spiaggia di Malibu, e in una spettacolare giornata di luglio, con tutte le porte aperte sulla spiaggia e sul mare, mentre strimpella con la sua chitarra a 12 corde viene fuori questa sequenza di accordi. Come fa sempre, la registra su una cassetta, compreso anche un abbozzo dell’assolo finale di chitarra, per lavorarci poi in seguito e per sottoporla agli altri, soprattutto a Don Henley, molto bravo a scrivere i testi. Così fa avere ai compagni una copia della cassetta, e qualche tempo dopo Henley lo chiama per dirgli che gli piace molto la “canzone reggae messicana”, e Leadon capisce subito di quale canzone si tratta.
Don Henley e Glenn Frey si mettono al lavoro sul testo. L’idea è di sviluppare una storia sul tipo degli episodi di "Ai confini della realtà" (la serie cult di fantascienza creata da Rod Serling), in cui un personaggio arriva in questo hotel e non riesce più a uscirne. Le registrazioni della canzone iniziano quasi un anno dopo il primo abbozzo sulla veranda di Felder, ai Record Plant Studios di Los Angeles per poi trasferirsi ai Criteria Studios di Miami, per paura dei terremoti che ogni tanto fanno ballare i muri in California. Il problema è che allo studio a fianco anche i Black Sabbath stanno registrando il loro ultimo lavoro, e fanno un rumore tale da disturbare tutte le session di incisione degli Eagles. Tony Iommi, chitarrista dei Black Sabbath, ha raccontato che Frey e soci dovettero registrare un sacco di volte le loro tracce per eliminare il rumore di sottofondo.
Un altro problema che si presenta è la tonalità troppo alta per le corde vocali di Don Henley, così la canzone viene progressivamente abbassata di tono fino a raggiungere una tonalità che il batterista possa cantare. L’ultima sezione della canzone presenta un “duello” di chitarra tra Joe Walsh e Don Felder, e i due provano per tre giorni per ottenere la precisione necessaria. Inizialmente Walsh e Felder iniziano a improvvisare, ma Henley li ferma, e insiste sul fatto che la registrazione dovrebbe seguire la musica registrata sul demo di Felder, così i due devono riascoltare la cassetta per rinfrescarsi la memoria.
Quando esce l’album omonimo, Henley decide di fare uscire la canzone come secondo singolo (il primo era stato "New kid in town"), ma deve lottare contro i dubbi della casa discografica e dello stesso Don Felder, visto che la canzone dura più di 6 minuti, il doppio della durata delle canzoni normalmente trasmesse dalle stazioni radio, e la sola introduzione, sulla quale di solito parlano i deejay, dura da sola più di un minuto. L’etichetta propone allora di accorciarla ma il gruppo è irremovibile e alla fine la canzone viene pubblicata esattamente com’è.
Il singolo entra subito nella Top 100 di "Billboard" e raggiunge la prima posizione nel maggio del 1977. Tre mesi dopo la sua uscita viene certificato Disco d’Oro (un milione di copie vendute) e vince il prestigioso Grammy Award come Disco dell’Anno, e il resto, come si usa dire, è storia.
La canzone ha avuto molte cover, tra cui ricordiamo quella di Nancy Sinatra, dei Killers e quella in chiave flamenco, e cantata in spagnolo, dei Gipsy Kings.
Una curiosità riguarda la sequenza di accordi, che è quasi identica a quella di "We Used to Know", una canzone dei Jethro Tull contenuta nell’album "Stand up" del 1969.
In effetti le due band hanno fatto un tour insieme prima che gli Eagles registrassero Hotel California. In un’intervista radiofonica alla BBC, Ian Anderson, leader dei Jethro Tull, ha detto ridendo di stare ancora aspettando i diritti d’autore. In un’altra intervista ha messo in chiaro che non pensa che Hotel California abbia preso “in prestito” qualcosa dalla sua canzone: «È difficile trovare una sequenza di accordi che non sia ancora stata usata. È la progressione armonica, quasi una certezza matematica che prima o poi ti ritroverai con la stessa cosa se ti metti a suonare qualche accordo su una chitarra. Non c’è certamente alcun senso di plagio a mio avviso, anche se a volte sostengo, scherzando, di accettarlo come una sorta di tributo».
Questo testo è tratto dal libro "Quello che le canzoni non dicono - Storie e segreti dietro le nostre canzoni del cuore" di Davide Pezzi, per gentile concessione dell'autore.
Fonte: Rockol.it
L’emblema del country rock americano, un brano che ha oltrepassato gli steccati dei generi e che ha segnato l’apice creativo (e di successo) degli Eagles, che non riusciranno più ad arrivare a questi livelli. E' una delle “500 canzoni della Rock and Roll Hall of Fame che hanno forgiato il Rock and Roll” ("The Rock and Roll Hall of Fame’s 500 Songs that Shaped Rock and Roll") e il suo lungo assolo finale di chitarra è stato votato come miglior assolo di chitarra di tutti i tempi dai lettori di "Guitarist" nel 1998.
Parliamo ovviamente di "Hotel California", canzone-simbolo degli Eagles, capace quasi di oscurare una carriera peraltro lunga e piena di grandi canzoni.
Gran parte del successo della canzone, almeno nei paesi di lingua inglese, si deve al contrasto fra una melodia dolce e orecchiabile e un testo invece piuttosto drammatico e anche sinistro. Il testo della canzone descrive l’Hotel California (quello raffigurato sulla copertina del disco è il Beverly Hills Hotel che in quegli anni era diventato il punto focale letterale e simbolico della vita degli Eagles) come una struttura di gran lusso dove «You can check out any time you like but you can never leave» («puoi lasciare libera la stanza quando vuoi ma non potrai andartene mai»). Lo stesso Don Henley - coautore del testo - ha dichiarato: «È una canzone che parla del lato oscuro del sogno americano e dell’eccesso in America, che era qualcosa che conoscevamo assai bene».
Nessuno dei membri della band era californiano: Randy Meisner era del Nebraska, Don Henley del Texas, Glenn Frey del Michigan, Don Felder della Florida e Joe Walsh veniva dal New Jersey (era appena entrato nella formazione in sostituzione di Bernie Leadon, unico californiano del gruppo), e nella canzone la California è vista dalla prospettiva di un estraneo. Ha raccontato Don Felder: «Mentre guidi di notte puoi vedere le luci di Hollywood e di Los Angeles per 100 miglia nel deserto e all’orizzonte. Mentre stai guidando, cominciano a venirti in mente tutte queste immagini della propaganda e della pubblicità che hai visto... le star del cinema, le stelle di Hollywood Boulevard, le spiagge, i bikini, le palme, tutte quelle immagini che vedi e che la gente ha in mente quando pensa alla California».
Stessa cosa confermata da Don Henley: «Eravamo tutti bambini della classe media del Midwest, l’Hotel California era la nostra interpretazione della bella vita di Los Angeles”
Felder, autore della musica, nel 1975 ha affittato una casa sulla spiaggia di Malibu, e in una spettacolare giornata di luglio, con tutte le porte aperte sulla spiaggia e sul mare, mentre strimpella con la sua chitarra a 12 corde viene fuori questa sequenza di accordi. Come fa sempre, la registra su una cassetta, compreso anche un abbozzo dell’assolo finale di chitarra, per lavorarci poi in seguito e per sottoporla agli altri, soprattutto a Don Henley, molto bravo a scrivere i testi. Così fa avere ai compagni una copia della cassetta, e qualche tempo dopo Henley lo chiama per dirgli che gli piace molto la “canzone reggae messicana”, e Leadon capisce subito di quale canzone si tratta.
Don Henley e Glenn Frey si mettono al lavoro sul testo. L’idea è di sviluppare una storia sul tipo degli episodi di "Ai confini della realtà" (la serie cult di fantascienza creata da Rod Serling), in cui un personaggio arriva in questo hotel e non riesce più a uscirne. Le registrazioni della canzone iniziano quasi un anno dopo il primo abbozzo sulla veranda di Felder, ai Record Plant Studios di Los Angeles per poi trasferirsi ai Criteria Studios di Miami, per paura dei terremoti che ogni tanto fanno ballare i muri in California. Il problema è che allo studio a fianco anche i Black Sabbath stanno registrando il loro ultimo lavoro, e fanno un rumore tale da disturbare tutte le session di incisione degli Eagles. Tony Iommi, chitarrista dei Black Sabbath, ha raccontato che Frey e soci dovettero registrare un sacco di volte le loro tracce per eliminare il rumore di sottofondo.
Un altro problema che si presenta è la tonalità troppo alta per le corde vocali di Don Henley, così la canzone viene progressivamente abbassata di tono fino a raggiungere una tonalità che il batterista possa cantare. L’ultima sezione della canzone presenta un “duello” di chitarra tra Joe Walsh e Don Felder, e i due provano per tre giorni per ottenere la precisione necessaria. Inizialmente Walsh e Felder iniziano a improvvisare, ma Henley li ferma, e insiste sul fatto che la registrazione dovrebbe seguire la musica registrata sul demo di Felder, così i due devono riascoltare la cassetta per rinfrescarsi la memoria.
Quando esce l’album omonimo, Henley decide di fare uscire la canzone come secondo singolo (il primo era stato "New kid in town"), ma deve lottare contro i dubbi della casa discografica e dello stesso Don Felder, visto che la canzone dura più di 6 minuti, il doppio della durata delle canzoni normalmente trasmesse dalle stazioni radio, e la sola introduzione, sulla quale di solito parlano i deejay, dura da sola più di un minuto. L’etichetta propone allora di accorciarla ma il gruppo è irremovibile e alla fine la canzone viene pubblicata esattamente com’è.
Il singolo entra subito nella Top 100 di "Billboard" e raggiunge la prima posizione nel maggio del 1977. Tre mesi dopo la sua uscita viene certificato Disco d’Oro (un milione di copie vendute) e vince il prestigioso Grammy Award come Disco dell’Anno, e il resto, come si usa dire, è storia.
La canzone ha avuto molte cover, tra cui ricordiamo quella di Nancy Sinatra, dei Killers e quella in chiave flamenco, e cantata in spagnolo, dei Gipsy Kings.
Una curiosità riguarda la sequenza di accordi, che è quasi identica a quella di "We Used to Know", una canzone dei Jethro Tull contenuta nell’album "Stand up" del 1969.
In effetti le due band hanno fatto un tour insieme prima che gli Eagles registrassero Hotel California. In un’intervista radiofonica alla BBC, Ian Anderson, leader dei Jethro Tull, ha detto ridendo di stare ancora aspettando i diritti d’autore. In un’altra intervista ha messo in chiaro che non pensa che Hotel California abbia preso “in prestito” qualcosa dalla sua canzone: «È difficile trovare una sequenza di accordi che non sia ancora stata usata. È la progressione armonica, quasi una certezza matematica che prima o poi ti ritroverai con la stessa cosa se ti metti a suonare qualche accordo su una chitarra. Non c’è certamente alcun senso di plagio a mio avviso, anche se a volte sostengo, scherzando, di accettarlo come una sorta di tributo».
Questo testo è tratto dal libro "Quello che le canzoni non dicono - Storie e segreti dietro le nostre canzoni del cuore" di Davide Pezzi, per gentile concessione dell'autore.
Fonte: Rockol.it
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