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Europa stop circolazione benzina e diesel

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    #451
    Originally posted by Andy96 View Post

    Un tram contro migliaia di veicoli nella stessa tratta
    beh sull'asfalto stanno studiando qualcosa...
    ripeto io faccio il commercialista...più in la di cambiare una lampadina non ci arrivo

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      #452
      Originally posted by luciocabrio View Post

      beh sull'asfalto stanno studiando qualcosa...
      ripeto io faccio il commercialista...più in la di cambiare una lampadina non ci arrivo
      Per questo hanno fatto la Giulia full led

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        #453
        Qualcuno avvisi l'esperto, vero toscanaccio34 ?



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          #454
          Ma rispetto a un bonifico PayPal Postepay che cambia ?

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            #455
            Ci sono un sacco di video che lo spiegano. Sia quelli super positivi che quelli super complottisti.

            Si parla anche di programmabilità del denaro.
            Praticamente non potresti accumularlo.

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              #456
              Originally posted by Andy96 View Post
              Ci sono un sacco di video che lo spiegano. Sia quelli super positivi che quelli super complottisti.

              Si parla anche di programmabilità del denaro.
              Praticamente non potresti accumularlo.
              Oppure impossibilità di spenderlo per acquisti poco green.
              Restando in tema non potrai spenderlo per fare un passaggio di proprietà o comprare una auto a scoppio nel 2033, indipendentemente dalla volontà del venditore e acquirente.

              Oppure nel caso di una futura pandemia, se nel 2021 per andare al ristorante dovevi esibire il pass all'ingresso, con l'euro digitale non ci sarà bisogno di esibire un pass, perchè semplicemnete non potrai spendere i tuoi soldi senza prima aver fatto il vaccino

              Oppure, se oggi un prelievo forzoso sul mio cc lo può fare solo il mio stato (con governo votato da noi), domani lo potrà fare direttamente la BCE (che è un'entità non votata e quindi democraticamente illegittima).
              Come già scritto passeremo dal "ce lo chiede l'europa" al " ce lo fa direttamente l'europa".

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                #457
                Originally posted by Andy96 View Post

                Per questo hanno fatto la Giulia full led
                lia coin quei fari nuovi fa cagare. è come una che si rifà le labbr amale (sulla stelvio stanno meglio invece)

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                  #458
                  Originally posted by toscanaccio34 View Post

                  Oppure impossibilità di spenderlo per acquisti poco green.
                  Restando in tema non potrai spenderlo per fare un passaggio di proprietà o comprare una auto a scoppio nel 2033, indipendentemente dalla volontà del venditore e acquirente.

                  Oppure nel caso di una futura pandemia, se nel 2021 per andare al ristorante dovevi esibire il pass all'ingresso, con l'euro digitale non ci sarà bisogno di esibire un pass, perchè semplicemnete non potrai spendere i tuoi soldi senza prima aver fatto il vaccino

                  Oppure, se oggi un prelievo forzoso sul mio cc lo può fare solo il mio stato (con governo votato da noi), domani lo potrà fare direttamente la BCE (che è un'entità non votata e quindi democraticamente illegittima).
                  Come già scritto passeremo dal "ce lo chiede l'europa" al " ce lo fa direttamente l'europa".
                  Quando l'altro giorno ho sentito la notizia, ho esclamato tra me e me: "bene, siamo fottuti!"

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                  • Alle banche commerciali USA e UE l'euro digitale piace poco, ma in africa, Cina e india è già una realtà (Africa, China e India 3 realtà da riferimento proprio, tutti sogniamo di tendere a quei modelli...)

                    Se adottato definitivamente nel 2025, l’euro digitale sarà la valuta elettronica della Banca centrale europea (Bce). Sarà un equivalente elettronico...

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                      #460
                      https://auto.everyeye.it/notizie/bil...id-678287.html



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                        #461
                        vertice tra l’Unione europea e la Cina domani e dopodomani a Pechino, è il primo che si tiene «in persona» dopo il Covid, e dopo che la guerra in Ucraina (appoggiata da Xi Jinping) ha peggiorato le relazioni tra l’Occidente e la Repubblica Popolare. Accade sullo sfondo di una voragine di deficit che preoccupa l’Europa: la sua bilancia commerciale con il gigante asiatico è in «profondo rosso»: ben 400 miliardi di disavanzo.

                        Non è sempre stato così, in passato le relazioni commerciali tra le due economie erano abbastanza equilibrate per lunghi periodi, soprattutto grazie alle esportazioni tedesche. Diversi fattori spiegano l’improvviso e pesante squilibrio in favore di Pechino. L’export tedesco non tira più come una volta, le tecnologie made in Germany non sono altrettanto appettibili quanto in passato anche perché i cinesi le hanno sostituite con le proprie (a volte copiando e saccheggiando proprietà intellettuale, almeno all’inizio). La domanda di consumi cinesi è depressa, il che agisce in due modi sul commercio estero: la Repubblica Popolare importa di meno; e le sue imprese non trovando sbocchi adeguati sul mercato interno diventano sempre più aggressive, fanno vendite sottocosto all’estero. Infine, e soprattutto, è in atto una nuova invasione cinese in Europa, questa volta trainata dalle tecnologie della «sostenibilità»: auto elettriche, batterie elettriche, pannelli solari, pale eoliche o componenti di tutti questi prodotti. Avendo distrutto gran parte dell’industria europea in questo settore, con anni di concorrenza sleale, la Cina oggi è di gran lunga la prima beneficiaria della de-carbonizzazione europea.

                        Da tempo Bruxelles si è arresa all’invasione del made in China nei pannelli solari: non vede un’alternativa, dal momento che la Repubblica Popolare ormai controlla il 90% della capacità produttiva mondiale in questo settore. Mentre l’America sia con Donald Trump sia con Joe Biden ha abbracciato il protezionismo (dazi e altre misure discriminatorie), l’Unione europea su questo fronte del solare ha praticamente gettato la spugna. Più problematico, per le sue dimensioni sociali e politiche, è il disastro annunciato nel settore dell’automobile. L’industria automobilistica in Europa dà lavoro a 14 milioni di persone. Si preannuncia anche qui un disastro per l’arrivo di auto elettriche cinesi vendute sottocosto, con le quali l’industria europea difficilmente potrà competere. In Germania è massima allerta su questo fronte. Almeno sul fronte dell’auto elettrica Bruxelles tenta di reagire, ha avviato una procedura unilaterale in base alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, Wto) contro la concorrenza sleale cinese. Se la procedura si conclude come vuole l’Unione europea, può autorizzare l’imposizione di dazi. Intanto si afferma una constatazione allarmante: l’Europa «verde» sarà sempre più un’Europa cinese.

                        L’America si trova in una situazione un po’ migliore, per diverse ragioni. Anzitutto ha visto nascere all’inizio del millennio un campione dell’auto elettrica come la Tesla di Elon Musk, che a lungo è stato un precursore e ha dato all’industria Usa una lunghezza di anticipo (anche se poi la fabbrica più grossa della Tesla è in Cina, e quel mercato di sbocco è molto importante per Musk). Poi da Trump a Biden l’America ha manovrato con spregiudicatezza varie forme di protezionismo anti-cinese: dai dazi ai sussidi per attirare sul territorio Usa fabbriche di auto e batterie elettriche. Gli stessi incentivi fiscali offerti negli Stati Uniti a chi compra un’auto elettrica, vengono meno se il prodotto è cinese o perfino se è di marca americana ma contiene troppi componenti cinesi. Infine l’America è più avanti dell’Europa nella strategia di ricostruzione di «filiere sicure» per la produzione di tutti i materiali indispensabili alle tecnologie verdi, come il litio. C’è più attività mineraria all’interno degli Stati Uniti, mentre estrarre dal sottosuolo rimane spesso un tabù in Europa (per resistenze… «ambientaliste»). C’è anche una maggiore capacità degli Stati Uniti – sia a livello governativo che nell’industria privata – di tessere alleanze con fornitori come l’Australia, un peso massimo nei minerali e metalli rari.

                        Il dominio cinese, che può trasformarsi in un semi-monopolio, è stato costruito nei decenni e su più fronti. Non sono solo i prodotti finiti, come pannelli solari e auto elettrica, quelli che garantiscono alla Cina una soverchiante superiorità nell’interscambio commerciale con l’Europa, ma anche tutto ciò che sta a monte e cioè la catena di raffinazione e trasformazione di minerali e metalli usati come componenti nelle tecnologie verdi. Quei minerali e metalli si trovano solo in minima parte nel sottosuolo cinese; per lo più la Cina si è garantita la proprietà o gli accordi commerciali per sfruttare risorse minerarie di altri Paesi, dall’Africa all’America latina. L’Unione europea continua ad essere in ritardo nella costruzione di filiere alternative e più autonome.

                        Il paradosso è che a casa sua la Repubblica Popolare non esita a ricorrere allo stesso protezionismo adottato dagli Stati Uniti… ma rivolgendolo contro gli europei. La Camera di Commercio UE a Pechino, che rappresenta le aziende europee presenti su quel mercato, ha presentato un elenco di mille richieste di riduzione di barriere protezioniste cinesi. Molte di queste barriere discriminatorie sono simili alle misure di Biden: impongono un quantitativo di «produzione locale» per i beni venduti sul mercato interno, per esentarli da dazi e restrizioni. Mentre il made in China sta monopolizzando la transizione verde europea, le aziende europee si vedono ostacolate… in mille modi (è il caso di dirlo) nel loro accesso a quel mercato. È improbabile che questo squilibrio cambi per effetto del vertice bilaterale dei prossimi giorni. L’Europa è riuscita a mettersi in una situazione di debolezza contrattuale: ha deciso di non poter fare a meno del made in China per la sua de-carbonizzazione accelerata; non riesce a rendersi altrettanto indispensabile all’economia cinese o a negoziare contropartite adeguate

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                          #462
                          Eppure uno, anni fa qua sul forum, diceva che avevano fatto investimenti faraonici per far passare più petroliere possibili e che l'auto elettrica sarebbe stata affossata dai poteri forti. Mah.🤔

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                            #463
                            La cina è uno stupratore col cazzo di fuori e l'europa si è alzata la minigonna e messa a pecora.
                            Non mi viene altra analogia in mente per descrivere la situazione.
                            Basterebbe segare sta cazzata dell'elettrico obbligatorio per ristabilire un po' gli equilibri anche se ormai credo sia tardi.
                            Nei motori termici i cinesi sono indietro come le palle del cane

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                              #464
                              Il fatto che vogliano addirittura regolamentare come spendiamo i nostri soldi, mi fa rammaricare di aver investito soldi e tempo in Europa...

                              Chi ha modo e palle per farlo, scappi da Euro intanto che è in tempo.

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                                La scorsa settimana il Corriere ha fatto uno scoop ripreso dai media di tutto il mondo, grazie al nostro “chigista” (ossia, addetto a coprire i presidenti del Consiglio) Marco Galluzzo: l’Italia è uscita dalla cosiddetta Via della Seta, la rete di accordi che legano la Cina a decine di Paesi. Non è un momento facile per la seconda economia del mondo. Sempre la scorsa settimana, l’agenzia di rating Moody’s ha annunciato che potrebbe declassare il debito pubblico di Pechino, anche perché il collasso del settore immobiliare nel Paese sta falcidiando le entrate fiscali. Nel frattempo la Cina, anche benché ne parli poco, dovrebbe essere al centro della diplomazia del clima che in queste ore lavora febbrilmente per chiudere domani la Cop28 di Abu Dhabi con degli impegni credibili dei principali protagonisti per fermare il surriscaldamento del pianeta. Purtroppo i tre fattori sono legati: allentamento delle relazioni della Cina con i Paesi avanzati, grande stagnazione sotto il tallone di Xi Jinping e ritardi nel ridurre le emissioni di gas a effetto serra sono elementi uniti da un filo rosso. La seconda guerra fredda e la crisi economica della Cina, ormai innegabile, non fanno che aggravare la crisi climatica.










                                Il commercio cinese


                                Per capire perché guardate i grafici qui sopra, messi a punto da QuantCube. QuantCube è una start up parigina composta di matematici, fisici, statistici ed economisti che lavorano come detecrive sugli indizi più insospettabili per capire in anticipo cosa succede alle principali economie del mondo e leggere i dati dei sistemi autoritari che non pubblicano informazioni trasparenti. In questo caso hanno usato il “sistema di identificazione automatica” (o transponder) dei cargo, per capire come sta andando realmente il commercio cinese. Risultato: sta crescendo con i Paesi cosiddetti “non occidentali” e invece sta de-crescendo con i Paesi occidentali. In altri termini, probabilmente anche per scelta politica, la Repubblica popolare sta accelerando la sua integrazione economica con quello che ora va di moda chiamare il Sud del mondo. E allenta invece i legami con l’Occidente.
                                L’AGENZIA DI RATINGMoody’s ai dipendenti in Cina: lavorate da casa (per evitare ispezioni dopo il taglio del rating)


                                di Diana Cavalcoli



                                I rapporti con i Paesi emergenti


                                Qui è nella linea celeste riportato l’andamento dell’export cinese nei prodotti da container e nelle materie prime grezze (“dry bulk”) con un gruppo di nove economie avanzate che include Stati Uniti, Francia, Germania e Italia e valeva nel 2021 il 30% di tutto il commercio mondiale della superpotenza asiatica. Come si vede, negli ultimi due anni gli scambi di fatto sono scesi (la stessa tendenza si ritrova anche per l’export dalle nostre economie verso la Cina). Dall’altra parte nella linea rossa invece c’è un gruppo di sedici Paesi emergenti - dalla Russia al Brasile, dall’India all’Indonesia, dal Vietnam all’Arabia Saudita - che rappresenta il 22% del commercio mondiale cinese. Con loro gli scambi di Pechino invece sono aumentati molto, nei due sensi. In altri termini, presto Xi Jinping dipenderà più per la crescita del suo sistema dai rapporti con Paesi come il Sudafrica, gli Emirati Arabi Uniti o la stessa Russia, che dall’Italia o dalla Francia. È un sovvertimento strisciante delle leggi della globalizzazione affermatesi almeno da quando, nel 2001, Pechino è entrato nell’Organizzazione mondiale del Commercio.






                                L’export in Europa


                                Il secondo grafico di QuantCube, qui sopra, ci aiuta a capire perché: colpa nostra, se vogliamo dirlo in modo forse un po’ troppo brutale. Ad andare male è infatti il commercio bilaterale dei cinesi con noi europei (linea rossa); quello con gli Stati Uniti (linea azzurra), malgrado le tensioni politiche, mantiene una dinamica un po’ migliore. E qui si può discutere sulla competitività imbattibile e forse sulla slealtà dei produttori cinesi di batterie, di pannelli fotovoltaici o magari di auto elettriche. Ma resta un fatto: Xi Jinping non trova la crescita che gli serve così disperatamente vendendo i prodotti della sua superpotenza industriale a noi; la trova in Paesi come l’India o l’Indonesia. Ma in quei Paesi le produzioni sono già a basso costo come e più che in Cina e il reddito medio dei consumatori è basso. Lì esportare grazie ai prezzi minimi del “made in China” è molto più difficile che farlo verso l’Europa. I prodotti indiani in India o quelli indonesiani in Indonesia hanno alla loro base dei salari anche più bassi rispetto a quelli della concorrenza cinese. E questa differenza fondamentale - rispetto agli equilibri degli ultimi venti anni - rischia di avere profonde implicazioni per l’ambiente e per il surriscaldamento globale.






                                Economia e occupazione in Cina


                                Di Xi Jinping e l’intero sistema a partito unico hanno necessità di confermare questa fonte di crescita vendendo beni e servizi al Sud del mondo, visto anche che il commercio con noi europei ristagna. Il terzo grafico di QuantCube rivela quanto impellente sia questa esigenza per Pechino: l’economia in genere e l’occupazione, in particolare, sono troppo deboli in Cina. E questo non è mai tranquillizzante per un sistema rigido e autoritario. Xi Jinping ha fatto “sospendere” la pubblicazione dei dati sulla disoccupazione giovanile, ma gli analisti di QuantCube capiscono lo stesso cosa succede usando le offerte di lavoro pubblicate online. Nel settore immobiliare, che direttamente o meno vale il 40% del prodotto interno lordo del Paese, le aziende cinesi cercano il 60% di nuovi addetti in meno di un anno fa. E tutti gli altri settori sono sotto ai livelli del novembre 2022, ad eccezione dell’energia. Se voi sedeste nel Politburo del Partito comunista cinese, sareste preoccupati. In gran parte sarebbe colpa vostra, perché a minare la seconda economia più grande della Terra sono la fissazione securitaria, il soffocante interventismo e l’incapacità del regime di gestire l’esplosione della bolla immobiliare. Tuttavia, quali dirigenti del partito, cerchereste di capire come poter tenere bassi i costi dei prodotti di esportazione “made in China”, per poter continuare a conquistare i mercati del Sud del mondo che sono così sensibili al prezzo. E questo è esattamente quanto sta accadendo.






                                Il costo energetico nei vari Paesi


                                Un modo in cui i cinesi contengono i costi, in sostanza, è tenendo bassissima la bolletta dell’energia nelle loro fabbriche. Il grafico che vedete qui sopra è prodotto da Enrico Mariutti, un analista indipendente italiano sul settore energetico molto seguito anche da alcuni dei principali osservatori internazionali. Mariutti il costo dell’elettricità nell’industria in vari Paesi (in centesimi di dollaro per Kilowattora). L’Italia, come vedete, perde di gran lunga la competizione. Abbiamo costi un terzo più alti della Germania, più del doppio rispetto alla Francia e tre volte più alti di quelli della Spagna. Il Qatar, l’Iraq, la Russia e l’Islanda invece vincono, producendo da sé l’energia primaria per le proprie centrali (geotermica per l’Islanda, da gas naturale per le altre). Ma la Cina viene subito dopo. Il segreto è semplice: circa il 60% dell’alimentazione di energia nella Repubblica popolare viene ancora da centrali a carbone, la più inquinante e nociva al clima fra le fonti fossili. Mariutti spiega che molti grandi gruppi cinesi riescono addirittura a portare il costo dell’elettricità in fabbrica a quattro cent a Kilowattora - il livello più basso del mondo, quindici volte meno dell’Italia - costruendo centrali a carbone interne ai loro stessi impianti.






                                Le centrali a carbone


                                Si potrebbe pensare che le autorità di Pechino vogliano ridurre o almeno stabilizzare la loro dipendenza dal carbone. In effetti nel settembre del 2021 il presidente Xi Jinping aveva annunciato che, se non altro, la Cina non avrebbe più finanziato la costruzione di centrali a carbone all’estero. Già, ma all’interno dei confini della Repubblica popolare? Be’, lì è un’altra storia. Come spiega Michael Davidson su Foreign Affairs (il 2 novembre scorso) «i governi provinciali cinesi hanno autorizzato la costruzione di più capacità di produzione elettrica in centrali a carbone negli ultimi dodici mesi di quanto abbiano fatto negli ultimi sei anni». E aggiunge: «Se questi impianti verranno costruiti e operati come d’abitudine, la Cina sfonderebbe di colpo tutti i paletti dei suoi impegni contro il cambio climatico, rendendo irraggiungibili gli obiettivi internazionali di limitazione del surriscaldamento globale». Una delle ragioni è che il governo cinese ha dichiarato che l’uso del carbone inizierà a scendere dopo il 2025, ma non ha precisato da quale livello: dunque molte imprese e autorità provinciali cercano di aumentare il più possibile la capacità di produzione elettrica più sporca che ci sia, prima della data-limite. Del resto, come si vede dai grafici sotto e sopra, il consumo e la produzione di energia per abitante in Cina superano ormai quelli dell’Italia o dell’Europa. Ma con una popolazione di 1,4 miliardi di persone.

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