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Aneddoti,interviste e storie curiose del MOTOMONDIALE
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"La mia migliore vittoria, per tanti significati, è quella in Sudafrica, la prima con la Yamaha a Welkom nel 2004.
Mi ero stancato di avversari e detrattori che sostenevano che vincevo solo perchè avevo la Honda.
Ho dimostrato che ero il più forte a prescindere dalla moto".
- Valentino Rossi a proposito di Welkom, 18 aprile 2004
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Originally posted by mito22 View Post"La mia migliore vittoria, per tanti significati, è quella in Sudafrica, la prima con la Yamaha a Welkom nel 2004.
Mi ero stancato di avversari e detrattori che sostenevano che vincevo solo perchè avevo la Honda.
Ho dimostrato che ero il più forte a prescindere dalla moto".
- Valentino Rossi a proposito di Welkom, 18 aprile 2004
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Originally posted by samvise View Post
Fu una gran gara, la sua. La moto faticava a star dritta ma lui guidò come un indemoniato. Diciamo che la pista di Welkom (con rettilinei corti) gli diede una mano, nel senso che la Honda non riuscì a sfruttare la miglior velocità di punta (e Biaggi fu pollo perché contò male i giri, pensava che ne mancasse ancora uno).
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"Lin Jarvis, il grande capo di Yamaha, mi chiamò e mi disse che avremmo dovuto vederci. Venne a Tavullia e un po’ immaginavo cosa volesse dirmi. Praticamente mi licenziò, perché c’era da prendere Fabio Quartararo. Ma io sapevo di avere 40 anni e chiaramente capivo la situazione, ma lo presi in contropiede chiedendogli di non lasciarmi a piedi e farmi avere comunque una Yamaha, magari da Petronas visto che comunque quel team andava forte. Non è riuscito a dirmi di no.
lin jarvis e valentino rossi
Quando ritirarsi? Non sono io la persona adatta a rispondere! Però dicono che il momento per smettere giusto è quando sei il numero uno. Io in quel momento c’ho pensato, ma mi sono detto che volevo rischiare: magari potevo essere il numero uno ancora. Io mi sono detto che avrei corso fino a quando non sarei andato piano. Ora corro in macchina perché dopo aver vissuto tutta la vita nelle corse avevo bisogno di dare un seguito. Di svegliarmi la mattina e fare ancora il pilota: sono contento della scelta che ho fatto perché smettere proprio da un anno all’altro secondo me è tosta".
Last edited by mito22; 07-05-25, 07:25.
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"In moto sei da solo ma nel weekend hai la tua squadra e quindi la MotoGP è, paradossalmente, uno sport di squadra. Uccio? E’ sempre stato con me. Con lui abbiamo un po’ inventato un lavoro: l’assistente del pilota. Adesso ce l’hanno tutti “un Uccio”. Ci siamo divertiti da matti: immaginati due ragazzini di vent’anni in giro per il mondo da soli. Quella di andare in giro con Uccio è stata una grande idea.
Adesso che fa il team manager della mia squadra non viene più con me, ma mi manca perché poi è uno che è molto divertente".
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"La moto è uno sport molto pericoloso, che fa paura. Però i primi anni neanche ci pensi e vuoi solo fare il massimo. La paura che hai è quella di sbagliare e rovinare la gara. Poi dopo i 30 anni cominci a pensare di stare un pochino più attento. Nelle moto essere coraggiosi fa la differenza, ma fino a quando qualcosa non ti va bene e allora cominciano a venirti molti dubbi. Per me quel momento è stato l'infortunio del Mugello 2010.
In quei momenti cominci a pensare che hai un ferro nella gamba e se ti rifai male in quel punto sono cavoli. Io ho avuto talmente tanta paura, poi, della frase di Enzo Ferrari sui piloti che perdono mezzo secondo quando hanno figli, che non ne ho avuti fino a che non ho smesso. Ma col senno di poi ti dico che non è vero”.
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"Da piccolino mio papà Graziano, pensando che fosse meno pericoloso, ha spinto un po’ di più per farmi correre con le quattro ruote. Ma poi per correre con i kart ci volevano 100 milioni di lire e allora lì Graziano ha deciso di farmi correre con le moto.
A 14 anni ho fatto il passaggio dalle minimoto alle moto a ruote alte. Con una Cagiva 125cc 2T siamo andati a Magione per la prima gara. Era marzo, faceva freddo. Dopo essere uscito dai box, alla prima curva sono caduto. Rientrato in pista ho messo in temperatura le gomme e ho iniziato a spingere ma dopo 3 giri sono caduto di nuovo in un'altra curva.
Mio papà Graziano mi chiese se ero sicuro che fosse la scelta giusta. Lo era, anche se poi m’è rimasta questa cosa di correre con le macchine. Anche se sono più bravo in moto".
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GIACOMO AGOSTINI:
“… In quelle condizioni quasi astratte la gara di moto diventa una scalata solitaria alla vetta che accumuna tutti gli sport e più in generare gli aneliti umani. Silenzio, poi il rombo; poi l’apparizione, identica a sé; poi ancora il silenzio; così via. In tale condizione di purificazione della stessa corsa, in cui la corsa si essenzializza nei suoi più profondi elementi, oltrepassanti cronometri e telemetrie, ciò che l’appassionato maturo riconosce sono gli aspetti-cardine della corsa, quelli che nel pieno delle eccitazioni della lotta passano in secondo piano: lo stile del pilota, la classe colta allo stato puro, le minuzie che fanno grande il suo carattere di campione pienamente rivelato, e la moto stessa, risaltante quanto mai, che giro solitario dopo giro solitario si comprende in che misura sia sempre stata il pennello del pittore, lo scalpello dello scultore, la penna dello scrittore, il mezzo animato per portare i doni ricevuti dagli dei in terra, su una pista, chiusa in sé e aperta ai simboli rombanti che testimoniano la vitalità, la giovinezza, la salute, l’abilità, la pace, la buona sorte. Al di là delle lotte e delle battaglie rifulge la vittoria più grande.”.
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“… Il Conte Agusta, seduto su una poltrona come su un trono, con gli occhi fissi su fogli scritti a mano, in doppiopetto gessato Dior, cravatta larga nera stile duca di Windsor, con in mano la sigaretta Dunhill accesa nel Bocchino placcato oro, non risponde al “Buonasera Signor Conte” di Agostini. Solo un cenno dello sguardo con cui invita il giovane a sedersi.
— Tu sei... —
— Sono Giacomo Agostini, signor conte — dice Ago, sorridente e algido.
— Che vuoi qui? — dice Agusta dopo aver acceso la sua sigaretta.
Quello era il Conte Domenico Agusta, re nel suo regno.
—So come vanno le sue moto: vorrei correrci. — risponde Giacomo quasi con freddezza.
—Sulle mie moto salgono solo campioni. Tu sei capace di guidarla? — domanda Agusta lanciando la sfida per vedere di che pasta è fatto il carattere, perché sa che senza giusto carattere anche il miglior talento si perderebbe prima o poi come fumo nell’aria.
Mi provi. — dice d’istinto Agostini”.
“… Il conte non profferisce parola. Le sue sopracciglia si alzano. I suoi occhi brillano”.
conte corrado agusta con giacomo agostini
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“… così il conte Agusta accosta Agostini a Surtees. La speranza del patron della MV è quella di arruolare fra le sue file il futuro, il pilota migliore, ma non solo: perché dalle parole del conte si rivela l’attesa fremente del mondo delle corse per intero, ciò che aleggia in quegli anni nel variegato ambiente del Circus e fra gli appassionati, la speranza diremmo messianica di un pilota-emblema in grado di contrassegnare la propria epoca e di tenere alto l’interesse e la sostanza di questo sport umano e mitico al contempo, dove rischio, lotte, ambizioni, imprese, fallimenti e rinascite si sfiorano e si susseguono per poter innalzare la coppa della vittoria da cui, a riversarsi, è l’emozione della vita…”.
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… “Due cose sono importanti nelle corse – lo si udiva ripetere - il cronometro e la bandiera a scacchi: girare più veloci degli avversari e tagliare per primi il traguardo”.
Ma da ex centauro il commendator Morini sapeva osservare il pilota “coi raggi x” solo come chi conosce la pista per averne vissuto da dentro ogni risvolto. E allora completava le sue massime divenute famose nell’ambiente dicendo frasi del tipo: “Bisogna saper guardar bene lo stile del pilota e gli occhi sul dritto e alla staccata: mai mentono”; e ancora: “Un vero talento si vede subito da due cose: da come gira in pista e da che cosa gli gira per la testa”, vantandosi di riconoscere al volo chi lo è e chi non lo è un pilota di razza.
Ed è questo che aveva veduto, quel giorno, alla Bologna San Luca. Non un vincitore come un altro: ma un futuro campione.
- “Come si chiama, giusto, quel ragazzetto là?” aveva chiesto Alfonso Morini col sigaro in bocca.
“Giacomo Agostini”, gli era stato risposto…”
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