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Aneddoti,interviste e storie curiose del MOTOMONDIALE

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    #61
    Originally posted by MAX_rr View Post

    Thread dedicato a Piero che da Santo Stefano non si è più connesso. Mi spiace molto
    kaciaro 'ndo stai?

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      #62
      Originally posted by mito22 View Post
      kaciaro 'ndo stai?
      E' un infermiere...spero non sia stato contagiato dal democratico Covid19

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        #63
        Originally posted by mito22 View Post
        ...ma la Bridgestone, forse ancor di più, deve essere grata alla Ducati, che con la sua collaborazione l'ha aiutata a migliorare le sue pecche ed è stata fondamentale nella sua ascesa in MotoGP, fino a quando non è riuscita a scalzare il dominio Michelin nella categoria, solo grazie alle vittorie della Rossa di Borgo Panigale....
        L'unico materiale che a borgo panigale sembra inesauribile è l'arroganza...

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          #64

          "Dato che Cadalora passa in 500 con la Yamaha, ho firmato un accordo con la Honda per sotituire Luca nel team Rothmans e correrò con Erv Kanemoto, uno dei guru del Motomondiale. Un preparatore, anzi un tuner, cosi come lo definiscono gli americani, con lui hanno corso e vinto titoli mondiali Freddie Spencer e Eddie Lawson, oltre a Luca.

          Questo pensiero occupa la mia mente durante tutto l'inverno e torno anche a scuola per imparare l'inglese; mi troverò in un team straniero, dove nessuno parla la mia lingua.

          I primi test sono uno shock. Nei box ad aspettarmi ci sono Erv Kanemoto e il suo braccio destro George Vukmanovich.

          Erv è un giapponese americano, alto un metro e ottanta, che non parla una parola della lingua dei suoi genitori.



          Iniziamo il nostro rapporto a gesti, un po di inglese maccheronico e qualche mugugno. Erv mi guarda sempre negli occhi mentre cerco di farmi capire ed è supergentile.

          Le prove, con lui, sono una maratona. Il suo minimo sono farmi fare 80 di giri, ma in realtà si arriva spesso a 120, 130.

          Un massacro dal punto di vista fisico. Poi lui analizza tutto, nel dettaglio, con metodo. Se c'è da provare un pezzo nuovo mi dice: <<Please, check this part>>. Poi quando rientro ai box ascolta le mie impressioni, dando grandissima importanza a ogni movimento del mio viso. E regolarmente mi rimanda dentro con la frase:<<Now. double check>>. E non è finita.

          Alla terza uscita mescola le carte, senza dirmi cosa ha fatto, e al rientro successivo mi sottopone a un vero e proprio quiz che regolarmente termina: <<Please, one more time>>.

          Una volta lo trovo che 'tasta' le lamelle in carbonio dell'ammissione una a una. Una delle sue fissazioni. Le giornate di Kanemoto sono infinite, non si stanca mai.

          E' stato questo a darmi il metodo e a fare di me un collaudatore. A farmi capire come sviluppare una moto."
          MAX BIAGGI
          Last edited by mito22; 11-02-21, 07:51.

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            #65
            “Quando in Ducati hanno saputo che sarei tornato in Australia per ulteriori esami e riposo, saltando le gare di Brno, Indianapolis e Misano non la presero bene e ricevetti un'email da Claudio Domenicali, Amministratore Delegato di Ducati Corse, che in sostanza diceva: 'Spero che non ti aspetti di venire pagato per questo'. Filippo Preziosi e Livio Suppo rimasero leali nei miei confronti in quel periodo, cosi come Carlo Bonomi, presidente della società di investimento propretaria di Ducati, ma purtroppo non posso dire altrettanto per il resto della dirigenza.



            Fu una grande amarezza non avere il supporto dei miei capi in uno dei momenti più difficili della mia vita, ma sapevo che se non fossi andato alla radice del problema avrei dovuto affrontare la fine della mia carriera. (...) Tutti pensarono che non ero malato, che il problema fosse nella mia mente, che avrei dovuto ritirarmi. All'epoca non lo immaginavo, ma una volta tornato in Europa sarei stato bersagliato da critiche ancora più feroci... venni attaccato con forza dai giornalisti, dai miei colleghi e da ex piloti. (...) Tutti si sentivano in diritto di dare un giudizio. Un pilota supercompetitivo per due anni non diventa d'un tratto un perdente che sparisce dalla faccia della terra solo perchè "non ci sta con la testa" . E' assurdo solo pensarlo. Se fosse stata depressione, mancanza di motivazione o paura l'avrei detto. Le persone che mi conoscevano bene mi credevano e sapevano che non avrei mollato tutto in quel modo. Ma furono in pochi a sostenermi in quel periodo di insicurezza. Alcune amicizie uscirono rafforzate da questa esperienza, mentre altre sparirono. In un certo senso fu un bene.

            Mi fece capire meglio cosa significava per me gareggiare, quello che la gente pensava realmente di me e di chi mi potevo fidare. Certamente non potevo fare affidamento su alcuni dirigenti di Ducati. Mentre ero in Australia, proposero a Jorge Lorenzo di sostituirmi offrendogli un ingaggio che era il doppio del mio. Quando avevo firmato il contratto per il 2009 e il 2010 mi era stato detto che non avevano altri soldi per me, nè per lo sviluppo della moto, ma d'un tratto potevano permettersi di sborsare tutti quei quattrini per un altro pilota. Considerando i traguardi che avevamo raggiunto insieme, non potevo crederci. Mi sentii pugnalato alle spalle dalle persone in cui credevo e che in teoria avrebbero dovuto fidarsi di me. Rimasi a bocca aperta, e certamente non in senso positivo.”
            CASEY STONER
            Last edited by mito22; 11-02-21, 07:49.

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              #66
              Originally posted by mito22 View Post
              ....proposero a Jorge Lorenzo di sostituirmi offrendogli un ingaggio che era il doppio del mio.....

              "Non abbiamo soldi per lo sviluppo. Siamo una piccola realtà artigiana di provincia" (cit.)

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                #67

                "I risultati non cambiano mai il grande quadro. Più che mi sembra che vengano visti come incidenti di percorso che infastidiscono i vertici manageriali e aziendali. Vicino al mio nome sembra esserci un asterisco che sottindente: si, però... Dovrei incazzarmi, invece no. Tecnicamente, io non mi incazzo mai, e preferisco implodere su me stesso piuttosto che esprimere le mie emozioni. Piu che altro mi cresce una frustrazione esagerata: mi chiedo dove troverò un posto come questo e se correrò ancora ad alto livello.

                La rivelazione finale arriva a Brno (2011). Li la storia dice che arrivo secondo dietro a Stoner respingendo tutti gli attacchi di Simoncelli, ma non racconta dei tormenti del sabato e della domenica mattina, quando addiritura non voglio neanche gareggiare. Le qualifiche fanno schifo; sono settimo, mentre Stoner va a bomba e Pedrosa pure. Ma la cosa peggiore è che prende consistenza quasi ufficiale ciò che io e Simone prevedevamo: la squadra Honda tornerà a due piloti e Simoncelli sarà il terzo pilota con il team Gresini. Maledetta foresta ceca. L'Automotodrom mi è stato sempre sui maroni, non mi ci sono mai trovato bene. E adesso, puntuale, arriva la conferma delle mie peggiori previsioni.

                Fanculo.

                I due anni di fango mangiati per colpa della mia Casa preferita mi fanno deflagare in un attimo. La notte non dormo e la domenica mattina ho le orecchie sotto le ascelle. Non parlo con nessuno. Sono intrattabile. Non so cosa dire, non so più cosa la gente vuole da me. Soprattutto non so più cosa voglio io. (...)

                <<Oggi non corro>>

                <<Come non corri?>>

                <<Non corro>>

                La fisioterapia, che già sembrava un funerale, finisce li. Francesco tace, sistema le sue creme e esce. Ha perso le parole pure lui, ed è tutto dire. Il mio ufficio nel camion attaccato ai box è la camera ardente di Dovizioso Andrea, fu pilota. Dopo qualche minuto di ridicola veglia di me stesso arriva il babbo. Non è mai successo: lui non interferisce in questi momenti; è uno che sa stare al suo posto, soprattuto la mattina della gara. Ma evidentemente la situazione è grave. Quando chiude la porta dietro di se ha una faccia strana che non gli ho mai visto. Non è ne incazzato ne preoccupato. Sembra piuttosto uno che è deluso: in effetti, non è questo l'atteggiamento che mi ha insegnato. Io sono seduto seduto sul divano, guardo nel vuoto, penso solo a una parola: fine. In un angolo della mente dovrei sapere che sto esagerando, ma in questo istante desidero solo l'autodistruzione. E' finita. Sono stanco. Game over. Alzo la testa, come a dirgli: e adesso che vuoi? Non sarai venuto a farmi un discorso serio proprio tu, eh? E infatti il babbo non fa nessun discorso. Gli bastano poche parole. Normali. Dirette. Nel suo stile: per lui la distanza tra due punti è sempre e solo una linea retta, mai un gomitolo di inutili cazzate. <<Oh, Andrea adesso dacci un taglio. Fai quello che devi fare e basta pugnette.>> Non aspetta replica, non aggiunge neanche un 'hai capito?', non mette neanche in conto che io possa non essere d'accordo. Semplice, come quando si riaccende un interruttore che si era spento. Parla, si volta e se ne va. In un attimo l'ufficio è di nuovo vuoto. Tutto è stato talmente rapido che non so neanche se è accaduto. Per un istante mi torna in mente il cowboy di una vita fa: anche se non ha più i baffi a manubrio, forse vale la pena dargli ascolto. Io non credo alle magie, men meno a quelle che può fare il mio babbo, che è tutto fuorchè un mago. Però se non altro mi alzo, mi vesto, scendo al box e salgo in moto. Dacci un taglio mi dico. E infatti, pronti via, si accende il semaforo e io parto come uno sparo. Stoner ha mal di schiena e non riesce a scattare come vorrebbe, il passo gara è un pò più alto del previsto. Pedrosa fatica e poi cadrà. Io non mi distraggo mai. Con Lorenzo è un duello dare e prendere. Ancora più bella è la resistenza nella lotta con Simoncelli. Un po' di classe, un po' di forza. Minimoto revival, e la spunto io.



                E' il quarto secondo posto della stagione. Un piccolo capolavoro. <<Peccato che davanti, come caposquadra, abbia un marziano>> scrive un giornalista. Ha ragione. Stoner quest'anno è imbattibile. Ma vogliamo invece parlare di Pedrosa che mi arriverà dietro nel Mondiale, io terzo e lui quarto? O di Simoncelli, che solo qui ha fatto il suo primo podio in MotoGp? Eppure sono dentro un sogno che sta per finire. Tutto è definitivamente chiaro, adesso: posti per me non ci sono; se voglio continuare a correre dovrò salire sulla Yamaha clienti. Dovrò inventarmi una nuova storia da raccontare a questo mondo. Non so come, ma qualcosa mi inventerò. Darò un altro taglio. Farò quello che devo fare."
                ANDREA DOVIZIOSO
                Last edited by mito22; 11-02-21, 07:49.

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                  #68

                  “Nicky lo conoscevo da prima che diventassimo compagni di squadra, mi ha sempre concesso molto tempo, anche quando ero in 125 e 250 e lui correva già in MotoGP. Insomma Nicky c’era anche quando non ero nessuno. Era sempre felice di fermarsi per una chiacchierata e non aveva mai smesso di farlo.



                  Come compagno di squadra era fantastico, ci siamo sempre divertiti molto. Abbiamo sempre apprezzato la nostra reciproca compagnia. Non smetteva mai di sorridere, neanche nei momenti più duri per lui, inoltre come pilota era sempre pronto nel giorno della gara. Sicuramente ci mancherà, nessuno ha mai detto niente di male nei suoi confronti. Ha sempre messo tutto quello che aveva nel suo lavoro ed era molto vicino alla sua famiglia. Questo diceva molto del suo carattere. Tutti volevano bene a Nicky ."

                  -Casey Stoner -
                  Last edited by mito22; 11-02-21, 07:48.

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                    #69
                    Valentino Rossi: “Quando è capitato di incontrare Toni Elias in America – perchè lui corre lì ora – ci sono stati solo momenti positivi. Abbiamo dei buoni rapporti e non sono arrabbiato con lui perché mi batté in Portogallo nel 2006, ma perché mi buttò giù alla prima curva durante il Gran Premio di Spagna. In quella stagione, Jerez era la prima gara dell’anno e mi ha subito fatto perdere dei punti, e probabilmente anche il campionato”.

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                      #70

                      "Come mai in Ducati andava forte solo Stoner e gli altri no? Anche noi eravamo un pò sconcertati e non sapevamo spiegarcelo, gli altri piloti erano in difficoltà, non sentivano il davanti, la moto in curva faceva fatica a girare... e lui invece... cioè, lui piano piano... perchè comunque se guardi la sua storia in Ducati, il primo test che abbiamo fatto in Malesia aveva fatto pena, eh! Era andato pianissimo. Poi dopo, dopo l'inverno, siamo tornati in Malesia a fare i test, e da li ha cominciato a evolversi, ad andare forte.



                      Ma il primo test proprio, era stato penoso eh. Forse venendo dalla Honda doveva ancora abituarsi. Poi dal secondo test ha cambiato mentalità. Lui è bravo, come è bravo adesso Marquez, a adattarsi alla motocicletta. Cioè non sono più come i piloti di una volta, come ad esempio Valentino Rossi, che si costruiscono la moto intorno a loro. Questi vengono, montano sopra la motocicletta, ma sono loro che si adattano alla motocicletta. Ed è il metodo migliore per andare forte, adesso come adesso, perchè comunque una moto a questi livelli, con queste velocità, con questi cavalli che hanno... se non ti abitui tu alla moto non la cambi più, non la cambi assolutamente. Perchè comunque è impossibile avere una moto perfetta, e quindi bisogna che sia tu, pilota, a sopperire i problemi della moto."

                      Bruno Leoni (Capomeccanico di Stoner, in Ducati e poi in Honda).
                      Last edited by mito22; 11-02-21, 07:47.

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                        #71

                        Dopo essere stato licenziato dal Team Yamaha ufficiale di Kenny Roberts, a causa del suo carattere turbolento e la difficilissima convivenza ai box Yamaha con il tre volte iridato Wayne Rainey, che lo rendevano difficile da gestire, nel 1993 Kocisnk cedette alle lusinghe della Suzuki, la quale, con la promessa di affiancarlo a Kevin Schwantz l’anno successivo, lo ingaggiò per correre la stagione nella 250cc. La Suzuki infatti sebbene da anni fosse presente nella classe regina, in 250cc non aveva mai ottenuto risultati di rilievo. Inoltre la 250cc rappresentava un ottimo veicolo commerciale per la casa nipponica che al tempo in catalogo aveva ancora la famosissima RGV gamma 250cc. John nei test invernali con la quarto di litro nipponica, si dimostrò velocissimo e venne considerato un vero “ammazza record”. La moto si dimostrò da subito dotata di una ottima ciclistica, ma con delle carenze nel propulsore. Nonostante tutto John Kocisnki e la Suzuki, iniziarono la stagione convinti di dominare la categoria. La verità si dimostrò invece differente: Tetsuya Harada, in sella alla competitiva Yamaha TZM si rivelò imbattibile anche per il fortissimo pilota dell’Arkansas. John si trovò quindi ad affrontare una situazione che non aveva considerato, aggravata dal fatto che Honda aveva schierato per quella stagione diverse moto ufficiali, tutte in mano a piloti giovani e competitivi (Loris Capirossi, Doriano Romboni e Max Biaggi), che fecero sì che Kocinski, dovesse lottare oltremodo semplicemente per agguantare un podio. Al GP di Assen del 1993, dopo un soffertissimo terzo posto John Kocinski appena tagliato il traguardo mandò volutamente fuorigiri il motore della propria moto, facendolo “esplodere”. Questo comportamento fu giustamente giudicato dai vertici Suzuki, altamente lesivo per l’immagine della Casa nipponica e Jonh Kocinski venne immediatamente licenziato. A quattro GP dalla fine del mondiale,



                        Per sua fortuna, la Cagiva, delusa dalle prestazioni dei suoi piloti, gli propose di terminare la stagione in sella alla C593 e John Kocinski ottenne per la casa italiana due quarti posti e la mitica vittoria di Laguna Seca.

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                          #72

                          Wayne Rainey!!

                          "Sono rimasto sorpreso dalla mia continuità del 1990: in fondo era soltanto il mio terzo anno in 500, e avevo un compagno del livello di Eddie Lawson, proveniente dalla Honda con cui aveva vinto il titolo. Il cambiamento fu legato a due fattori, il passaggio alle gomme Michelin, dopo due anni con le Dunlop: fui scioccato dal livello di prestazioni delle gomme francesi. E poi il cambio di sponsor del tabacco. Quando hai il marchio Marlboro, sei quasi obbligato a vincere. Mi sentivo a mio agio su quella Yamaha, ero pronto a giocarmela con Lawson e con chiunque altro.



                          Con Lawson ci conoscevamo quasi dall’infanzia, sin dalle gare di Flat Track, anche perché veniamo dalla stessa zona. Lui si trasferì in Europa prima di me, seppe affermarsi e quando facemmo coppia nel Team Roberts, Eddie era già quattro volte campione, quindi sapeva cosa serviva per vincere, non si curava di chi fosse il compagno di team. Quindi i rapporti personali erano buoni, ma c’era inevitabile tensione: volevamo batterci a vicenda. Sin dai test invernali in Australia, studiavo i suoi cronologici, volevo batterlo, perché avrebbe significato vincere. Test o gara che fosse. Si vide dal mio primo GP in Giappone, decollai sin dalla partenza, gli altri mi videro soltanto al traguardo.

                          Eddie però si infortunò subito: dopo i problemi fisici per la caduta di Suzuka con Mick Doohan, Eddie ebbe quell’incredibile incidente a Laguna Seca, dove rimase senza freni. Alla fine restarono Kevin Schwantz e anche Doohan: Mick finì alla grande.



                          Di Brno, quando la vittoria mi diede il titolo, ricordo che soltanto sotto la bandiera a scacchi realizzai di essere campione. Ricordo che Lawson era rientrato e pensava che il team mi fornisse materiale migliore, quindi era arrabbiato con la squadra. Io proposi di mettere la mia carena sulla sua moto, così avrei guidato con il suo materiale, e a Eddie quell’idea non piacque. A me sarebbero bastati pochi punti per ottenere il titolo, ma volevo vincere. E lo feci. Eddie finì terzo e si rifiutò di salire sul podio.

                          Era arrabbiato perché ero campione, o forse perché gli avevo detto che avrei guidato la sua moto, o perché forse gli piaceva essere arrabbiato. Non saprei.

                          I titoli del 1991 e soprattutto del 1992 furono decisamente meno scontati: nel ‘91 tornammo alle Dunlop e andò bene perché la Michelin decise di limitare il proprio coinvolgimento nel Mondiale, mentre Lawson passò alla Cagiva. Credo di non aver mai guidato così bene come in quella stagione, non ho mai avuto tanta fiducia nei nostri mezzi come quell’anno. Non credo di essermi mai divertito tanto. Ma il titolo che mi ha emozionato di più resta il primo nel 1990, fu proprio un dominio: andai sempre sul podio a parte l’Ungheria, quando testammo nuovi freni e ci fu un guasto durante la gara. Nel 1990 fu tutto favorevole a me. Ricordo invece che gli altri piloti finivano spesso a terra in modo violento, con high side dovuti alla potenza delle moto, al grip e alla sensibilità delle gomme. La Honda propose di limitare la cilindrata a 375 cm³, con tre cilindri, per limitare le nostre performance. Noi opponemmo un rifiuto totale anche perché sapevamo che la Honda avrebbe potuto rivincere con il tre cilindri. Per fortuna si rimase con le 500. Il titolo del 1991 è stato il più divertente. Quello del 1992 il più impegnativo, a livello fisico. Mi infortunasti a fine 1991 nei test: una gamba fratturata, e faticai a ritrovare la forza e la mobilità alla guida. Poi nel precampionato commisi un altro errore, che mi costò un dito. Iniziò il Mondiale e Doohan e la Honda volarono via con il loro motore “big bang”, mentre la Yamaha fu l’ultima a realizzarne uno. Compresi che tutti, io, il team e la Yamaha, dopo due anni di dominio avevamo perso il passo. Poi Doohan ebbe l’incidente in Olanda, e io ebbi la possibilità di rimontare fino a sorpassarlo.

                          Nel 1993 Kevin Schwantz era maturato, e questa volta la storica rivalità con lui non era per un GP, ma per il Mondiale. Tra noi i rapporti non erano fantastici, e ognuno ci teneva a battere l’altro. Alla fine commisi un errore, che mi è costato caro, fino a quel giorno ero stato in grado di indurre lui a sbagliare.

                          Dopo l’incidente è stato difficile tornare nel paddock come team manager. Potessi tornare indietro, quella è una fase della mia vita in cui agirei diversamente. Utilizzai la disabilità come una sfida da vincere, come quando correvo. A me piacevano le sfide, se andavo male in qualifica, questo mi dava l’adrenalina per la gara. Dopo l’incidente, ebbi tante opportunità, tante persone erano pronte ad aiutarmi, e così decisi di tornare alle gare. Anche su una sedia a rotelle. Ma era una cosa differente, non essere più pilota ma lavorare con i piloti. A distanza di 25 anni, dico che avrei dovuto essere più paziente e comprensivo, perché ognuno fa le cose secondo il proprio modo. Era frustrante per me, a quei tempi, e allora decisi di tornare a casa. E mi sentii più leggero. Ma iniziai a fare i conti con la realtà e la vita di tutti i giorni, non fu un processo facile".
                          da motosprint

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                            #73
                            IVANO BEGGIO


                            Quanto pesano sui successi commerciali le vittorie nel Mondiale?





                            "Partecipare con successo alle corse permette di ottenere due importantissimi risultati. Permette di raccogliere preziosa esperienza che viene poi immancabilmente riversata nella produzione di serie. Consente di acquisire, sopratutto in caso di vittoria, una vastissima notorietà, abbinata a una forte carica di simpatia verso il Marchio, su tutti i mercati. La nostra politica di produrre modelli in versione "replica" è in linea con questa situazione.

                            Questa intervista risale al Dicembre del 1995 in occasione del salone della moto di Milano.

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                              #74
                              Filippo Preziosi: "Per battere i giapponesi bisogna intraprendere strade diverse e non banali"

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                                #75
                                IVANO BEGGIO: “Tutta la lotta intorno a Biaggi ha fatto passare in secondo piano il debutto di Valentino Rossi, che chiuse nono nel Mondiale e vinse la sua prima gara a Brno. Rossi è stato fatto arrivare nel mio ufficio da Pernat che lo considerava un giovane promettente, ma in realtà lo consideravamo soprattutto come il figlio di Graziano, un notevole talento italiano della 250 e 500. Graziano inoltre ci aveva aiutato a sviluppare la nostra 125, chi avrebbe immaginato che quel ragazzino a cui abbiamo fatto il suo primo contratto da 30 milioni di lire (Biaggi era intorno ai 2.000 milioni) sarebbe stato il protagonista del Mondiale destinato a diventare uno dei più grandi come Giacomo Agostini?”



                                Quei 30 milioni di lire erano quasi 15.500 euro, mentre Biaggi correva per un milione di euro nella classe di mezzo. Beggio poi racconta del personaggio Valentino: “Quando vedo oggi Rossi correre, i miei pensieri vanno inevitabilmente a quel periodo estremamente felice. Di lui conservo un ricordo straordinario. Intorno a lui c’era sempre allegria e spontaneità, e non ricordo nessun disaccordo, né qualche momento di malumore con la squadra. Con la sua corte di amici poteva alleggerire e minimizzare qualunque situazione. Vederlo mi dava sempre una grande energia."

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